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VI. a'tempi di Teodorico, cioè circa 20 anni innanzi che venissero da Vitige per la prima volta tagliati.

Queste grandi opere furono fatte per Roma, che secondo Frontino §. 4. fu priva di acque condottate fino all'anno di Roma 441, dovendo contentarsi di quelle del Tevere, e di quelle che traevano naturali dai pozzi e dalle sorgenti; e di queste conservavano una memoria religiosa, celebrando ai 13 di ottobre le feste fontinali nel Campus Fontinalium, 0 Fontinarum alle falde del Celio dietro l'odierno ospedale lateranense. Confermasi questo da Cicerone nel trattato de Republica lib. II. c. VI. il quale loda Romulo per aver scelto il Palatino, onde fondare la sua città, come abbondante di sorgenti e salubre: locumque delegit et fontibus abundantem, et in regione pestilenti salubrem. In quell'anno però 441, Appio Claudio poscia soprannomato il Cieco, essendo censore insieme con Cajo Plauzio, che dalle vene dell'acqua rinvenuta ebbe il cognome di Venox, costrusse il primo acquedotto dell'acqua che dal suo prenome venne denominata Appia e sul suo esempio successivamente ne vennero portate in Roma altre 13, cioè l'Aniene Vecchia l'anno 481, la Marcia l'anno 608, la Tepula l'anno 627, la Giulia l'anno 719, la Vergine l'anno 732, l'Alsietina quasi nello stesso tempo, la Claudia e l'Aniene Nuova dall'anno 791 all'anno 805 ossia dall'anno 38 all'anno 52 della era volgare, la Trajana, o Sabbatina l'anno 863-110 della era volgare, la Severiana circa l'anno 956-203 e. v. l'Antoniniana l'anno 965=112 e.v. l'Alessandrina verso l'anno 979-225 e. v. e finalmente l'Algenziana sul principio del secolo IV della era volgare, o da Diocleziano, o da Costantino. E non più di quattordici acque incontransi ricordate negli scrittori antichi, nelle medaglie, e nelle lapidi: e quattordici Procopio Guerra Go

tica lib. I. cap. XV. dice apertamente, che erano glí acquedotti di Roma, che furono tagliati da Vitige l'anno 537 onde col privare la città de'mezzi di far girare le mole potesse forzarla alla resa. Nè certamente si crederà, che dopo quella epoca si costruissero nuovi acquedotti, poichè la popolazione andò sempre scemando a segno, che l'anno 546 la città rimase affatto deserta : e molto più scemarono i mezzi da far grandi spese. Questa osservazione io non avrei fatta, se nell' Epilogo di Vittore e nella Notizia non fossero portate ad un numero maggiore, cioè 20, nominando Vittore l'Erculanea, che è il fonte Erculaneo ricordato da Frontino, dove parla della Vergine, e la Damnata, ossia la Crabra, acque, che non vennero in Roma: distingue la Cerulea dalla Claudia, di cui era parte come si ha nella iscrizione del monumento colossale di porta Maggiore introduce poi tre acque non ricordate da alcuno e forse interpolate dalla lista delle vie, che siegue subito dopo in quelli centoni, cioè l'Annia, l'Aurelia, e la Ciminia: dimentica l'Aniene Vecchia e l'Aniene Nuova, e fa al contrario quattro acque diverse della Trajana, Sabbatina, Settimiana, e Severiana, mentre in fondo erano due sole, delle quali ciascuna sotto due nomi diversi si conosceva. La Notizia poi ripete i nomi delle tre acque Annia, Aurelia e Ciminia: fa tre acque diverse dell'Alsia, Alsietina, ed Augusta che erano una sola inserisce la Damnata e l'Erculea, ossia Erculanea come Vittore, all'Alsietina aggiunge la parola Setina evidente ripetizione del copista che di un nome tronco ne ha fatto un'altro: e non nomina nè le due Anieni, nè l'Algenziana. Ciò prova qual confusione regna in quelli epiloghi mal digesti.

Dopo la rovina di Vitige e la desolazione di Totila, cessata la guerra gotica, Belisario, e Narsete nello

stato di spopolamento in che era Roma non ristaurarono degli acquedotti troncati che i più necessarii, e men dispendiosi insieme. Dagli scritti del medio evo apparisce che sul principio del secolo IX. fluivano ancora l'Appia, e l'Antoniniana allora chiamata Iobia e Iopia, per corruzione di Iovia, nome derivato ad essa da qualche lavoro fatto da Diocleziano che come è noto assunse il cognome di Iovio: veggansi l'anonimo di Mabillon, ed Anastasio Bibliotecario nella vita di Adriano I. che ristaurò l'acquedotto della Iovia circa l'anno 780. Questo medesimo biografo nota i varii ristauri fatti nel secolo VIII. e nel secolo IX. all'acquedotto della Trajana, o Sabbatina, il quale, come quello della Vergine, sebbene in istato di dilabramento continuò a portare acqua in picciola quantità fino al secolo XVI. Nel secolo XII. si ricorda l'acqua lateranense, cioè quella parte della Claudia che veniva per la regione del Laterano sugli archi neroniani. Il fatto è che nel secolo XIV. la popolazione di Roma, per quanto ristretta fosse mancava di acque correnti, onde dovè abbandonare i colli e portarsi principalmente nella pianura del Campo Marzio dove a'suoi bisogni supplivano i pozzi e le acque del Tevere come ne'primi quattro secoli. Dopo il risorgimento di Roma è stata cura de'papi di ristaurare quelli acquedotti, che erano necessarii a dissetare i diversi quartieri della città, e lo fecero in tale e tanta abbondanza che Roma moderna ha il vanto in questa parte ancora sopra tutte le altre città della Europa, specialmente per la magnificenza delle fontane. Or si consideri qual meraviglia dovesse destare Roma antica, riflettendo, che ora tre soli acquedotti, e neppure i più grandi, rimangono de'quattordici! Di questi tre acquedotti quello della Vergine fu ristaurato da papa Pio IV. nel secolo XVI: quello dell'Alessandri

na da Sisto V. fu rifatto di nuovo sul finire dello stes so secolo e quello della Trajana venne risarcito da Paolo V, nel primo periodo del secolo XVI: essi hanno il nome di Trevi, Felice, e Paolo, siccome nella parte seconda vedrassi all'articolo FONTANE.

Durante la repubblica era officio de'censori costruire gli acquedotti: quando questi non esistevano il senato incaricava altri magistrati a tale uopo: censori infatti erano Appio Claudio che condusse l'Appia, Manio Curio Dentato che intraprese a portare l'Aniene, Cneo Servilio Gepione, e Lucio Cassio Longino Ravilla che condussero la Tepula: ma non essendovi censori l'anno 608 fu dato dal senato l'incarico al pretore Quinto Marcio Re d'introdurre una nuova acqua che fu la Marcia. Così nello scioglimento del regime republicano mancando i censori l'anno 719 Augusto diè ad Agrippa la cura delle acque, ed allora egli ristaurò gli acquedotti esistenti, e costruì quello della Giulia di nuovo, come nel 732 quello della Vergine, giacchè per testimonianza di Frontino §. 98 egli ritenne sempre questo incarico fino alla morte. Ma dopo la morte di quel gran personaggio Augusto stesso creò l'anno 741, 13 avanti la era volgare, un nuovo officio a tale uopo che intitolò Curator aquarum. Questo continuò fino al principio del secolo IV. della era volgare, allorchè Diocleziano fralle altre sue grandi riforme nell'amministrazioni fece ancor quella di istituire i Consulares Aquarum. Questo titolo fu nel secolo V. cangiato in quello di Comes Formarum Urbis Romae, come apprendiamo da Cassiodoro citato di sopra.

Dipendevano dai curatori delle acque, come mostra Frontino, 700 servi destinati alla sorveglianza, alle riparazioni, ed alla distribuzione delle acque ; essi dividevansi in familia publica, e familia Caesaris; i pri

mi in numero di 240 lasciati da Agrippa ad Augusto, e da questi messi a disposizione del publico erano a carico dell' erario: gli altri doveansi a Claudio allorchè costrusse il suo acquedotto ed erano 460 individui a carico del tesoro privato dell'imperadore. Suddividevansi questi in villici, o custodi delle fistole, castellarii custodi de castelli di divisione, circuitores, guardiani, silicarii selciaroli, tectores stuccatori, aquarii fontanieri, plumbarii e fistularii stagnari, e structores muratori. Traevasi il salario della familia publica dalle tasse sugli acquedotti ascendenti a 250,000 sesterzii, ossia ripartivansi 6250 scudi in 240 individui. Veggasi

Frontino.

Vitruvio lib. VIII. c. I. indica i modi, onde conoscere dove esistano sorgenti non apparenti sopra terra; probabilmente quelle osservazioni stesse si fecero da coloro che vollero introdurre nuove acque in Roma: queste erano, o sgorganti da polle considerabili o appena apparenti, come fili: nel primo caso quale è quello dell' Appia, della Marcia, della Giulia, della Claudia ecc. si raccoglievano, e per canali separati si dirigevano ad una forma principale e commune: nel secondo caso, come secondo Frontino avveniva della Vergine si allacciavano per mezzo di parate di muro e così si diressero verso la forma. Più semplice era il lavoro, quando doveansi torre le acque da un fiume, come le due Anieni, o da un lago, come l'Alsietina, poichè allora la forma principale aprivasi immediatamente sulla riva, e solo ponevansi ripari, onde allontanarne i galleggianti. La forma secondo Frontino medesimo appellavasi specus: essa tagliavasi nel masso del monte se questo era sufficientemente solido, so diverso costruivasi di materiali, s'intonacava di opera signina solidissima, di che fornisce un bell'esempio

in ca.

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