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In the old age black was not counted fair,
Or if it were, it bore not beauty's name.

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Si badi alla frase: in the old age; ne' tempi antichi le brune non eran giudicate belle. Il grande poeta aggiunge che, al tempo suo, le brune portavano parrucche bionde, per parere veramente belle, spesso servendosi di capelli di donne morte. 2 E spesso doveva ricorrere ai capelli delle morte la donna, a cui rimproverava Jacopone, tra le altre pessime abitudini e usanze, quella di mostrare di avere gran trecce avolte e di componersi la trez' altrui non so con que girvolta.

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Il Boccaccio non ripetè soltanto un giudizio di scrittore antico, ma un'opinione comune a' tempi suoi quando scrisse « lunghi, biondi, et copiosi capelli essere della donna spetiale bellezza, de' quali se essa Citherea amata nel cielo, nata nelle onde, et nutricata in quelle, benchè d'ogni altra gratia piena si ueggia, di quelli nudata, appena potrà al suo Marte piacere. >>

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1 Son. CXXVII.

2 Nel son. LXVIII accenna al tempo in cui la bellezza viveva e moriva come i fiori:

Before the golden tresses of the dead,

The right of sepulchres, were shorn away,

To live a second life on second head.

3 E dovevan essere trecce bionde, perchè JACOPONE dice poco innanzi :

Se è femena pallida
Secondo sua natura,

Arosciase la misera,

Non so con que tentura;

Se è bruna embiancase

Con far sua lavatura.

4 Ameto, ediz. del 1586 (Venezia, Bonfadio, p. 61.). Il FIRENZUOLA, ne' Discorsi della perfetta bellezza d'una donna (ediz. Lemonnier, I, 284) traduce da Apuleio: « Se voi rimovete dal lucido

Ecco spiegato perchè i poeti del Medio Evo così spesso facciano menzione di capelli biondi; ed ecco in parte spiegato, al tempo stesso, perchè alla lode de' capelli biondi aggiungano quella degli occhi neri e della ciglia nere: le brune, che s'imbiondivano le chiome, lasciavano intatte le loro ciglia, e non potevano mutare il colore de' loro occhi.

Rispetto al Rinascimento, ricorrerò anch'io ad un libro più volte consultato dal Renier: « Celles qui n'étaient pas blondes, s'étaient rendues par artifice, au XVI siècle. Les peintres vénitiens n'avaient fait que reproduire ce que, de leur temps, on avait incessamment sous les yeux; or, le plus souvent, on avait des apparences, on avait des mensonges produits par des teintures habiles, où l'oeil même d'un amant se fût trompé: miracles de droguistes et de parfumeurs ». 1

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capo di qualsisia bellissima giovane lo splendore del chiaro lume de' biondi capegli, voi lo vedrete rimaner privo d'ogni bellezza, spogliar d'ogni grazia, mancar d'ogni leggiadria; s'ella fusse ben quella che nel ciel concetta, nata nel mare, dalle onde nutrita, la stessa Venere... Questa adunque, senza la luce, senza lo splendore, senza l'ornamento degli aurati capegli ad alcuno non piacerebbe, sebbene fosse il suo Vulcano, il suo consorte, il suo dolcissimo amante ».

1 Les femmes blondes selon les peintres de l'école de Venise, par deux vénitiens; Paris, Aubry, MDCCCLXV, pp. 7 e 8. Potei giovarmi di questo libro, con la solita gentilezza prestatomi dal marchese G. Ferraioli, soltanto dopo la pubblicazione del supplemento al num. 300 della Rassegna. Da esso tolgo qualche altro periodo, che conferma ciò ch'è appena accennato in quello riferito qui sopra: << Les peintres n'avaient reproduit, disions-nous, que ce qu'ils avaient sous les yeux. En effet, Titien n'était point homme à admettre une peinture purement systématique et conventionelle. Arétin, le maître. louangeur, a porté jusqu'aux nues la frappante sincérité des têtes de Titiano Vecellio, qui joint avec tant de bonheur la vérité vraie au plus grand caractère. De son côté, Spero Speroni, qui florissait en plein règne du Titien, a célébré son oeuvre en paroles d'un tel enthousiasme, qu'elles sont presque intraduisibles. D'ailleurs, l'ac

Quel che son venuto esponendo sin qui, forse non basta a provare che il ragionamento del Renier sia difettoso; ma basta, o m'inganno, a provare che i fatti dai quali trae le sue induzioni possono, o debbono essere intesi diversamente da come egli li intende. Ad ogni modo, alle sue sentenze, un po' troppo assolute, contraddicono molti altri fatti, de' quali è giusto te

ner conto.

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Per finire chè n'è tempo, oramai - non ho niente meglio a fare, se non ricordare le conclusioni, alle quali è giunto il Renier, partendo da premesse, di cui credo aver mostrato la poca solidità. Il tipo fisico della donna, nell'età di mezzo, ci apparisce uniforme dappertutto (sino a un certo segno) sia perchè que' poeti, come tutti i poeti, non potevano descrivere esattamente la donna, fare de' veri ritratti; sia perchè, realmente, tutte le donne più o meno belle avevano, per ragioni antropologiche e per la moda, le stesse qualità, o doti, -e son proprio le qualità e le doti più appariscenti, su cui più si ferma l'attenzione dell'amante, o anche dello spettatore spassionato. Insomma, l'uniformità si spiega benissimo senza ricorrere all'ipotesi che le donne della lirica medioevale, in ispecie della

cord général des peintres de Venise à ne représenter que des Blondes atteste bien que dans ce pays des Brunes, il n'était plus de Brunes. Être blonde était devenu un art, et ce qui d'abord, sous le Carpaccio, à la fin du XV siècle, n'était encore qu'un rare caprice de la coquetterie, était devenu plus tard, sous le Titien et le Véronêse, le rêve et le besoin de la généralité des femmes vénitiennes. Les plus sucrées y passaient. L'espèce de consécration qu'ils y avaient donnée, à la fois effet et cause, avait réagi sur l'époque; et n'avait pu qu'encourager, chez les femmes, les menteuses transformations de la mode. » Pp. 32-33. Ancora una volta, ut pictura poetis.

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provenzale, << non avessero nulla a che fare con le contingenze reali in cui i poeti si trovavano ». Gran parte dell'uniformità, chi ben consideri, va attribuita alla convenzionalità della tecnica, alle immagini, ai paragoni, alle frasi tradizionali di cui, però, buon numero appartiene al linguaggio erotico di tutt'i tempi, tant'è vero che donne storiche, di tempi modernissimi, sono descritte alla maniera di quelle della lirica provenzale. Le differenze tra « la poesia aulica e la popolare », tra la lirica « cortigiana » e quella «< cruda di senso,» sono soprattutto differenze (e non sempre differenze) di linguaggio, d'intonazione, e derivano dalla diversa maniera di sentire e di esprimere l'amore: le descrizioni della persona femminile differiscono tanto poco tra loro, che non si può parlare di tipi femminili diversi, e, peggio, opposti. Al modo stesso, vere differenze tra il tipo femminile della poesia medioevale e il tipo del Rinascimento, non esistono.

Il Renier s'è messo per un cammino troppo tortuoso e troppo lungo per arrecare un argomento indiretto a sostegno dell'assoluta idealità delle donne dello stil novo, della Beatrice dantesca. Per spiegare l'idealizzazione di monna Vanna, di monna Bice, di Selvaggia e di non so quante altre, non era necessario supporre che, prima, i poeti provenzali avessero cantato uno stesso tipo fisico; poi, in Italia, i siciliani e i rimatori di transizione avessero troppo trascurato il corpo della donna e, infine, la scuola del dolce stil novo avesse dato un altro passo l'ultimo più in su, e i poeti che ad essa appartennero avessero toccato « il supremo grado di spiritualizzazione» sostituendo addirittura ne' loro versi alla realtà l'idea, alle qualità fisiche le morali, a una donna il femminile. E non mi pare esatto che la « idealizzazione » della donna, nella lirica dello stil nuovo, sarebbe una discontinuazione

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storica inesplicabile » se non si ammettesse che, prima, i poeti avessero cantato un puro tipo » corporeo. Abbiamo il dovere di non prendere in senso troppo letterale e troppo ristretto la parola evoluzione. Evoluzione, così nel mondo fisico, come nel morale, non è sinonimo di linea retta tirata dal basso in alto: con l'idea dell'evoluzione vanno necessariamente congiunte quelle delle trasformazioni, delle riforme, le une e le altre necessariamente incluse nella legge dell' adattamento. Ma, lasciando andare il linguaggio scientifico, nessuno nega, nessuno può negare che Guido Guinizelli, vero padre della scuola del dolce stil novo, pur non rinunziando (e come avrebbe potuto?) 1 a tutta

1 Potrei fermarmi a indicare alcuni dei molti « detriti» come li giudicherebbe il Renier, della lirica provenzale e siciliana, che perdurano nella lirica del Guinizelli e in quella del dolce stil novo. Parecchi di essi sono comuni a tutta la lirica amorosa di tutte le letterature. Il ragionare su la origine e la natura d'amore non era del tutto nuovo, e nemmeno era del tutto nuovo lumeggiare le proprie idee, porre in rilievo i propri sentimenti per via d'immagini. Il desiderio di morire per amore, così spesso e così vivamente espresso nella rica dello stil novo, è frequentissimo ne' provenzali e ne' siciliani, ed è di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Non è esatto nemmeno che Guido Guinizelli, con la canzone Amore e cor gentil, in cui, a dir del Gaspary, manifestò « un nuovo giro di idee » rinunziasse ai vecchi luoghi comuni di vedere e piacere, cioè alla teorica da lui stesso esposta nella canzone Con gran disio. Fermando la massima che amore non può allignare se non in cor gentile, il Guinizelli non si occupava delle premesse, di cui quella massima è conseguenza; e le premesse erano pur sempre, e furono e sono e saranno il vedere e il piacere. Infatti Dante, nel famoso sonetto Amore e cor gentil sono una cosa, in cui riassume la dottrina amorosa del saggio Guido, pose condizione essenziale del prodursi dell'amore questa:

Beltate appare in saggia donna pui

Che piace agli occhi si, che dentro al core
Nasce un desio della cosa piacente;

ossia, appunto, vedere e piacere.

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