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tore. Intanto la città era piena di mal talento, e da per tutto sentivansi maledizioni contro di lui. Sotto il flagello sempre più s' ostinavano, e nell' avversa fortuna accendevansi vie maggiormente. Certo il trovare intoppi, che alle persone di cervel sano suol essere un'occasione di porsi in sicuro e prendersi guardia di simili incontri, serviva loro di stimolo ad altre sciagure, e non finiva un malanno, se non col cominciamento d'un nuovo. Tanto più adunque levaronsi contro i Romani, persuasi che vendicherebbonsi in loro altresì di Giuseppe. Questi erano gli scombugli, in che si trovavano i Gerosolimi

tani.

V. Vespasiano frattanto per visitare il regno d' Agrippa (ove l'aveva invitato il re stesso con intendimento di fare insieme delle ricchezze della sua casa buona accoglienza al generale colle sue truppe, e per mezzo di lui sanare le membra infermicce del regno), levatosi da Cesarea a mare passa all'altra Cesarea, che nomavasi di Filippo. Quivi ristorando per venti giorni l'esercito, e rendendo a Dio grazie delle prosperate sue imprese banchettava egli stesso festevolmente. Ma come gli fu dato parte e del tentare che facea Tiberiade novità, e della total ribellione di Tarichea, l'una e l'altra appartenenti al regno d'Agrippa, fermato seco medesimo di sterminare da ogni luogo i Giudei credette opportuno il muovere contro di questi, e in grazia d' Agrippa, cui ripagherebbe della cortese sua ospitalità, ritornargli a miglior senno le terre. Spedisce pertanto il figliuolo Tito a Cesarea, perchè di cola trasferisca la soldatesca a Scitopoli, città la più grande della De

capoli, e vicina di Tiberiade. Quivi rendutosi egli ancora attende l'arrivo del figlio. Indi innoltratosi con tre legioni s'accampa a trenta stadj da Tiberiade presso un ostello, che bene a' novatori darebbe negli occhi. Sennabris è il nome del luogo. Spedisce di là il capodieci Valeriano con esso cinquanta cavalli a trattare di pace co' cittadini, e invitargli a un accordo; perciocchè avea udito, che il popolo era bramoso di pace, e veniva scommosso da certi spiriti, che lo strascinavano ad una guerra. Spintosi oltre Valeriano, poichè fu dappresso alle mura smonta egli stesso e fa smontare altresì i compagni, perchè non sembrasser venuti con animo ostile. Ma anzichè si trattasse di parlamento, eccogli addosso con impeto e armati i più possenti fra' sediziosi. Conducevagli un uomo chiamato Gesù, figliuolo di Safat, caporione della combriccola ladronesca. Valeriano avendo per malsicuro attaccare battaglia senz' ordine del generale, ancorché fosse certo di dover vincere, e pericoloso il combattere pochi con molti, e sprovvisti con allestiti, e d'altronde atterrito all' audacia non aspettata de' Giudei fugge a piedi, e come lui altri cinque abbandonaro i cavalli, cui Gesù e i compagni menarono trionfando in città, quasi presi gli avessero in giusta battaglia, non a tradimento.

VI. Del che spaventati gli anziani del popolo, e i più in credito d'eminenti al campo rifuggonsi de' Romani, e con mezzano il re a fianco si prostrano supplichevoli a' piedi di Vespasiano, e non gli sdegnasse d'un guardo, nè il procedere disperato di pochi, lo creda comune alla città tuttaquanta; perdoni ad un po

polo, che fu sempre amico a' Romani, e punisca gli autori della ribellione, da' quali le lor persone, che già da gran tempo desideravano di collegarsi con lui, fino ad ora n'erano stati con rigorosa guardia tenuti indietro. A queste suppliche s'arrendè il generale, avvegna fosse per li rapiti cavalli contro tutta la città corrucciato; e fu in grazia d' Agrippa, perchè nel vedeva in grande pensiero. Ora, avendo questi ricevute dal popolo le promesse di fedeltà, Gesù e i compagni non si credendo in Tiberiade più sicuri fuggono a Tarichea: e Vespasiano indi a un giorno spedisce innanzi Trajano con esso la cavalleria sulla cima del monte, perchè vedesse, se il popolo tuttoquanto nodriva sensi di pace: e conosciuto, che i cittadini andavan d'accordo co'supplicanti, con seco tutta l'armata s'incammina alla volta della città. I Tiberiesi spalancangli di presente le porte, e gli escono incontro con lieti viva, chiamandolo il lor salvatore, e benefattore: ma poichè le aperture soverchio anguste agl'ingressi frastenevan l'esercito, Vespasiano col taglio, che ordinò, d'una parte di muro a mezzodi loro allarga l'entrata. Dalle rapine però e dagli insulti fe' intima a tutti, che si rimanessero in grazia d' Agrippa; per questo medesimo perdonò alle mura, promettendogli esso, che in avvenire que', ch'eranci dentro, gli si terrebbon fedeli, e in più altri modi ristorò la città a male stato condotta da' sediziosi.

CAPITOLO X.

Tarichea espugnata. Descrizione del Giordano
e del lago e paese di Gennasar.

I. Indi uscitone pianta fra essa Tiberiade e Tarichea l'alloggiamento; e ne fabbrica con più fortezza il ricinto, perchè prevedeva dover quella guerra costare gran tempo, per lo ricogliersi, che in Tarichea avea fatto tutta la generazione de' novatori affidati nella guernita città, che essa era, e nel lago, che i paesani chiamano di Gennasar. Conciossiachè situata essa pure, come Tiberiade, appiè de' monti fu da Giuseppe, dove non è bagnata dal lago, ricinta tutta di forti mura; non però quanto Tiberiade, cui egli rinforzò tutta intorno sul cominciare della ribellagione con un profondervi dietro gran forze e denari; dove Tarichea non partecipò, che gli avanzi della sua grandiosità. Avevano inoltre assai legni presti in sul lago a ricoverarcisi da terraferma, se vinti, e bene in concio, se fosse mestieri, per una battaglia navale. Or mentre i Romani piantavano gli alloggiamenti, Gesù e i compagni niente atterriti nè al grosso numero, nè all' ordinato muoversi de' nimici, corrono loro addosso, e a prima giunta sbarattati i fabbricatori, e guasta una picciola parte dell' edifizio, al vedere che univansi insieme gli armati, anzichè incogliesse loro nessun disastro, si ritirarono verso le mura; ma i Romani dando loro dietro li cacciano entro le barche; ed essi allontanatisi solo quel tanto, ch'indi potessero colle saette

arrivare i Romani, gettarono l'ancore, e strette insieme, come un battaglione suol fare, le navi, pugnavano d'in sull'acque cogl' inimici, ch'erano a terra.

II. Or Vespasiano sentendo, che nella pianura innanzi alla città se n'era adunata una gran moltitudine, vi spe disce il figliuolo con una mano sceltissima di secento soldati a cavallo. Ma egli trovato il numero de' nimici strabocchevolmente cresciuto manda dicendo al padre fargli mestiere più gente. Esso intanto veggendo la maggior parte bensì de' suoi cavalieri, prima ancor che giugnesse il rinforzo, assai bene disposta, alcuni però dal grosso numero de' Giudei in lor cuore atterriti, postosi in luogo da essere udito, « Romani, disse, dap» poichè nel principio del ragionare è pur bene tornarvi » a mente la vostra stirpe, perchè intendiate chi siamo » noi e chi quelli, contro de' quali or s' ha a combat» tere; mercecchè dalle nostre mani non c'è stata fi>> nora nazione al mondo, che sia fuggita, e i Giudei, » per dir qualche cosa altresì in lor lode, sempre bat» tuti fino al di d'oggi pur non si stancano ancora. » Ben biasimevole cosa sarebbe, che mentre quelli si >> tengono saldi ne' casi avversi, noi perdessimo il cuore » nei prosperi. Veggio sì (e in veggendolo me ne r'al» legro) il grand' animo, che voi mostrate in palese: ma temo non forse in taluno la moltitudine de' ni>> mici ingeneri copertamente terrore. Deh si faccia di » nuovo a considerare, chi egli sia, e con chi s'abbia a provare, e come i Giudei, tuttochè arditissimi e » niente curantisi della vita, pur sono disordinati e » dell'arti militari inesperti, e in somma da chinarsi

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