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istesse città, in mancanza delle loro municipali, aver ricorso, siccome a'fonti d'ogni umana e divina ragione. Nè quel primo turbamento che sotto Alarico portarono i Westrogoti a queste nostre provincie, recò verun oltraggio alla polizia ed alle leggi de'Romani; poichè questo principe in mezzo all'armi non potè pensare alle leggi; non fece che scorrere queste regioni; e quantunque per qualche tempo si fosse fermato ne'Bruzi, nuove leggi da lui non furon introdotte: nè tampoco, dopo lui dal suo successore Ataulfo, il quale pacificatosi finalmente con Onorio, tutta libera lasciò a costui l'Italia, la quale egli poscia e Valentiniano III resse ed amministrò, come avean fatto gli altri imperadori d'Occidente loro predecessori.

I. Non furono queste provincie ad altri cedute o donate.

Nella considerazione delle quali cose se si fossero pur un poco fermati gli scrittori di questo regno, e massimamente i nostri giureconsulti, non sarebbon certamente incorsi in quelli così gravi e sconci errori de'quali han riempiuti i lor volumi; nè cotanto leggiermente sarebbonsi lasciati persuadere a creder quella favolosa donazione di tutt'Italia, che voglion supporre fatta da Costantino nell'anno 324 a Silvestro romano pontefice, quattro giorni da poi che fu da costui in Roma battezzato. Errore che sparso negli scrittori italiani, e più ne❜libri de'nostri professori, toltone un solo, Bartolo, fu cagione d'infiniti altri abbagliamenti, anche in cose di più perniziose conseguenze. Imperciocchè alcuni di essi si son avanzati fino a porre in istampa che dopo questa donazione gli altr'imperadori succeduti a Costantino non ebbero ragione o diritto alcuno sopra queste nostre provincie, come quelle che s'appartenevano a' pontefici romani, ed erano del patrimonio di San Pietro: e quindi esser nata la ragione dell' investiture date poi da essi ad altri diversi principi; aggiugnendo che fin da tali tempi il nostro regno fosse stato distaccato dall'imperio, e perciò non mai più sottoposto agl' imperadori d'Occidente, e molto meno a quelli d' Oriente. Il nostro consigliero

Matteo degli Afflitti1 arrivò a tal estremità, che non si sgomentò di dire che dopo questa donazione tutte l'altre costituzioni promulgate dagli altr'imperadori succeduti a Costantino, per difetto di potestà, non ebbero in questre nostre provincie forza nè vigor alcuno di legge scritta. I reggenti stessi del nostro Consiglio Collaterale non arrossiron eziandio di scrivere che dopo questa donazione i successori di Costantino non ebbero giurisdizione alcuna di far leggi sopra queste provincie, e che perciò dovea ricorrersi alla ragion canonica, e non alla civile. Merita pertanto che qui non si defraudi della meritata lode Marino Freccia ' nostro giureconsulto. Egli fra'nostri fu il primo che per avere avuto buon gusto dell'istoria, rimproverò a'nostri scrittori error sì grave; nè il perdonò tampoco al consigliero Afflitto, di cui professava esser congiunto per affinità; nè con altra difesa seppe di tal errore scusarlo, se non col dire, affinis meus ihstoricus non est.

Ma se questi scrittori, per l'ignoranza de'tempi ne'quali vissero meritan qualche scusa, e a loro non già, ma al vizio del secolo si-volessero questi difetti imputare, non meritano però compatimento veruno i nostri moderni, i quali dopo tante riprove dilettansi per impegno tener chiusi gli occhi, acciocchè non ricevan un poco di lume che tanto basterebbe per isgombrare le lor tenebre, nelle quali si compiacion di vivere. È oggi mai stato dimostrato abbastanza per tanti chiari e valentuomini che quel finto istromento di donazione fu opera che non forse prima dell'ottavo o nono secolo, come che da poi siasi proccurato di farlo anche inserire ne' Decreti di Graziano quando negli antichi, secondo attestano S. Antonino ed il cardinal Cusano', non si leggeva: nè prima di quel

1 Afflict. in Constit. in praelud. q. 2, num. 2 et q. 20, num. 1.

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2 Tappia de jur. Regni lib. 1, de Legib. 1. 2, num. 5. Ponte de potest. Proreg. tit. 11, n. 25. 3 Frec. de Subfeud. lib. 1, pag. 53.

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4 Marca lib. 3, c. 12 et 1.6, c. 6, 86. Schelstrat. antiq. illust. part. 2, diss. 3, c. 8.

Grat. distint. 96, c. Constantinus 14.

6 S. Antonin. Archiep. Florent. 1, part. hist. 8, cap. 1. 7 Nicol. de Cusa, Concord. Cathol. lib. 3.

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tempo s'ebbe di lui notizia alcuna. Ora disputasi solamente fra gli scrittori, qual abbia potuto essere l'autore che da prima diede corpo e moto a questa larva. Alcuni contendono che fosse stata opera di qualche Greco scismatico, il quale o per rifondere tutta la grandezza della Chiesa in Roma agl'imperadori d'Oriente, ovvero per aver campo da declamare e burlarsi della Chiesa latina e dei romani pontefici, secondo il costume della nazione a quelli avversissima, avesse proccurato, coll'iscovrimento poi di cotal falsa invenzione, di discreditargli e rendergli odiosi al mondo; siccome imputavan ad essi parimente molti altri fatti strani e portentosi eccedenti la lor potestà. E conforme nel progresso di quest'Istoria vedremo, i Greci di Gregorio II scrissero, ch'avesse scomunicato l'imperador Lione, depostolo dall'imperio, ordinato a'sudditi di non pagargli tributi, e perciò assolutigli dal giuramento; e mille altri eccessi narrati nelle loro storie, non per altro, che per rendergli esosi, e per mostrargli al mondo usurpatori dell'altrui ragioni; ancorchè poi i più impegnati per la corte di Roma, di ciò che i Greci scrissero per un fine, se ne valessero per un altro.

Altri, fra i quali è Pietro di Marca1, scrissero che quell'istrumento fosse stato finto, e supposto non già da alcun Greco o scismatico, ma da Latino e Fedele. Tutti però concordano esser favoloso; e tanto più se ne persuasero, quanto che molti esemplari veggonsene tutti infra loro varii e difformi. D'una maniera si legge questa donazione nel Decreto di Graziano2; di un'altra è quella trasferita dal greco in latino, rapportata da Teodoro Balsamone 3, e trovata nella libreria Vaticana: di diverso tenore la riferiscono l'istessi romani pontefici Nicolò III e Lione IX *; d'altro modo Pier Damiano, Matteo Blastare, Ivone di Chartres e Francesco Bursatto; ed altrimente la rap

Marca 1. 3, c. 12, n. 3, de Concor. Sacer. et Imp.

2 Gratian. dist. 96, c. Constantinus 14.

3 Balsam. in Pothii Nomocan. tit. 9, c. 1.

4 Can. futuram 12, qu. 1, c. fundamenta, de elect. in 6. Leo IX. Epist. 1, ad Michaël. Const. c. 13.

P. Damian. discep. Synod. Blastar. Synop. Jur. Can. C. de Bulgar. Cypr. et Iber. Bursat. in fin. 1 volum. Cons.

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porta Alberico: in brieve, sin a dodici e più esemplari se ne leggon tutti infra loro-varii e differenti.

Ma se a cotali rapportatori furon ignoti i fatti di Costantino, e niente curaron d'Eusebio e degli altri scrittori contemporanei, appo i quali d'un fatto sì strepitoso e grande evvi un profondissimo silenzio; almeno avrebbon dovuto disingannarsi dal solo Codice Teodosiano, e dalle costituzioni dello stesso Costantino che in quello si leggono. Voglion comunemente costoro che Costantino, mentr'era in Roma nella primavera di quest'anno 324, avesse usata questa cotanta prodigalità con Silvestro, quattro giorni dopo il suo battesimo. Ma certa ed indubitata cosa è che Costantino in questi stessi supposti mesi del 324 mai in Roma non fu, siccome colui che di quel tempo trovavasi in Oriente tutto occupato nella guerra contra Licinio; la quale terminata, con averlo sconfitto, e riportatane piena vittoria, è noto altresì che passato in Tessalonica, quivi si fermasse, ed in questi stessi mesi appunto di quest' istess' anno 324 non partissi da quella città. Il che manifestamente si prova per due sue costituzioni che nel suddetto Codice Teodosiano ancor si leggono ciò sono per la 1. 4, sotto il tit. de Naviculariis, la quale fu promulgata da Costantino in quest'istesso tempo, mentre era in Tessalonica, e dirizzata ad Elpidio, sotto il consolato di Costantino III e Crispo III,,che porta questa data: Dat. VIII. Id. Mart. Thessalonicae, Crispo III et Constantino III Coss.; e per quell'altra sua famosa costituzione ove si prescrive la norma delle dispense dell'età così a maschi come a femmine, che alquanto guasta e tronca fu inserita anche da Triboniano nel Codice di Giustiniano. Questa legge Costantino la fece quando in quest' istesso anno 324 era in Tessalonica, come narra Zosimo, e porta la sua data: Dat. VI. Id. Aprilis Thessalonicae, Crispo III et Constantino III Coss.; come emenda Gotifredo: e fu indirizzata a Lucrio Verino, il quale in quest'anno era prefetto della città di Roma, com'è ma

I Alberic. in 1. 1. C. de off. Praefect. urb.
2 V. Zosimum 1. 2, et Anonymum Sirmondi.
3 L. un. C. Th. de his qui veniam aetat.
4 L. 2. C. eod. tit. Zosim. 1. 2.

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nifesto dalle parole della Notizia de' Prefetti di Roma, ove si legge Crispo III et Constantino III Coss. Lucr. Verinus Praefectus Urbi: ond'è che scorrettamente si legge l'iscrizione di questa legge nel Codice di Giustiniano: ad Verinum P. Praetorio.

Queste leggi convincono per favolosa non meno questa donazione, che il battesimo di Costantino per mano del pontefice Silvestro1. Nè dovean altri moversi per gli Atti di questo pontefice, i quali dallo stesso Baronio non sono ricevuti, ma riputati per favolosi e favola certamente è ciò che in essi si narra, che in quest'anno 324 fosse stato prefetto di Roma Calfurnio, quando dalle date delle riferite leggi è manifesto che fu prefetto di quella città Lucrio Verino. Dovea più tosto movergli l'Istoria d'Eusebio di Cesarea2, uom grave ed ingenuo, che fiori nei medesimi tempi, e che i gesti di questo principe minutamente descrisse, e dove fatti si grandi e memorabili se fossero veramente accaduti, egli non è credibile che dalla diligenza ed accuratezza di sì fatt'uomo si fossero potuti tralasciare, e trascurargli in un'istoria che pochi anni dopo la morte di Costantino fu pubblicata alla luce del mondo, e girava fra le mani di tutti, i quali con molto scorno e biasimo d'Eusebio avrebbon allora potuto rinfacciargli tant' ignoranza, e smentirlo ancora di ciò che avea narrato, d'essersi Costantino battezzato in Nicomedia negli ultimi giorni di sua vita, non già in Roma.

Ma di ciò ch'ora alcuni dubitano, non ne dubitaron certamente gli antichi scrittori così greci come latini. Teodoreto, Sozomeno, Socrate, Fozio ed altri greci autori scrissero, Costantino aver ricevuto il battesimo non già per le mani di papa Silvestro in Roma, ma in Nicomedia, essendo per morire: e fra'latini, S. Ambrogio, S. Girolamo, il concilio d'Arimini pur tennero la medesima credenza. Quindi è che i nostri più gravi e dotti teologi

I Got. in Chronol. C. Th. A. 324.

2 Euseb. lib. 4, de vita Constant. c. 61 et 62.

3 Teodoret. lib. 1. Hist. cap. 32. Sozom. lib. 2, cap. 34. Socrat. lib. 1, cap. 39. Fozio cod. 127, pag. 210.

4 Ambros. Serm. de obitu Theodos. Hieron. in Chronic. Conc. Arimin. apud Sozom. lib. 4, cap. 18.

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