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391 mezzo a tante turbe suscitate della novella religione aveva fedelmente perseverato nell'antica, faceva in nome del suo signore la medesima istanza. Nè contenendosi in questo termine, l'Ambasciadore richiedeva pur anche, a nome e per comandamento del Duca, oltre la riformazione del clero, il matrimonio dei sacerdoti. Le quali petizioni del Re, dell'Imperatore e del Duca, considerate dal Pallavicino, lo spinsero a dire che pareva che tutti costoro fossero d'avviso che il Concilio fosse adunato non per condannare, ma per contentare gli eretici.

La controversia intorno alla residenza, quantunque discussa con grandissimo calore in parecchie congregazioni, non si potè così presto acconciare, nè fu terminala se non dopo che il Sinodo aveva già definiti gli articoli si di fede che di riforma da noi sopra

divisati.

Si eccitarono anche lunghissime contenzioni intorno al concedere o negare la comunione sotto le due spezie ai laici ed ai non celebranti; imperciocchè, sebbene ai tempi antichi della Chiesa, essa fosse a tutti i fedeli in quella doppia forma ministrata, era poi per buone ragioni, e per ordinazione della Chiesa prevalso l'uso che i soli celebranti ricevessero il corpo del Signore sotto le due spezie. Avvertivasi dai contraddittori il pericolo di versare il sangue nel comunicare, pericolo divenuto, per la moltitudine tanto cresciuta dei fedeli, assai più grave che nei tempi in cui essi erano e rari e sparsi; la malagevolezza del conservarlo; gl' inconvenienti del portarlo agli infermi nelle campagne; il difetto del vino in molte province, la facilità con cui potrebbe inacidirsi. Riflettevano che l'estensione del calice a chi il domandava sarebbe stata scala ad altre domande del pari gravissime e difficoltose, massimamente a quella del matrimonio dei preti. Consideravano che in alcune regioni si sarebbe fatto uso del calice, in altre no; disparità perniziosissima all'unità della Chiesa ed al rispetto delle

cose sante. Dimostravano finalmente che non così di leggieri, nè senza esempio pregiudiziale, il Concilio Tridentino doveva disfar quello che dal Costanziense era stato fatto, e da cui era stato tolto il calice dalla comunione laicale.

Ebbe maggior favore l'ultima sentenza, e perciò il Concilio decretava che i laici e i cherici non celebranti non erano obbligati per alcun divino precetto a comunicare sotto ambe le specie, e che non si poteva dubitare che la comunione d'una sola spezie non bastasse. Tale fu la decisione dogmatica intorno a questo punto tanto discusso. I prelati spagnuoli e veneziani furono principalmente nel rendere il partito contrarj alla concessione. Venendo poi alla domanda di coloro che volevano la comunione sotto le due spezie, il Concilio decretò che tutto il negozio si riferisse al Sommo Pontefice, il quale facesse in questo per sua singolar prudenza ciò che giudicasse utile per la Repubblica Cristiana e salutifero agl' imploranti.

Atteso che la materia della residenza e quella dei matrimonj non furono definite se non molto tardi, e dopo lunghe discussioni fra i Padri, e quando già i prelati francesi col Cardinal di Lorena loro capo erano giunti al Concilio, così noi indugeremo sino a luogo debito il favellarne.

Non pochi abusi erano trascorsi nell' ordinare al sacerdozio. Non solamente și ordinavano preti in aspettativa, cioè con promessa o speranza che fossero per essere forniti o di benefizio o di patrimonio o d'altra maniera di vivere secondo il decoro del loro stato, promesse e speranze le quali poi non si verificavano, ond' era cresciuto a dismisura il numero dei preti oziosi e indigenti, con evidente detrimento dell'estimazione dei buoni sacerdoti e della religione, ma ancora spesse volte le assegnazioni di patrimonio per fraude diventavano nulle, ed i benefizj stessi si risegnavano dai prebendati ad altri. E quanto al patrimonio, molti con false prove mostravano d'averlo, poi

393 lo alienavano, ed altri, trovato chi loro il cedesse, lo rendevano poi a chi l'aveva comodato.

Per ovviare a sì fatti abusi e disordini, il Concilio statuiva che nessun cherico secolare, sebbene idoneo, fosse promosso ad Ordine Sacro, se non avesse benefizio, patrimonio o pensione sufficiente per vivere, e che il beneficio non potesse esser rinunciato, nè la pensione estinta, nè il patrimonio alienato senza licenza del vescovo.

Fu aggiunto, per levare l'indegnità dei sacerdoti indigenti o male provvisti, che nelle cattedrali e collegiate, dove non vi sono distribuzioni, o sono tenui, potesse il vescovo convertire in quelle la terza parte dei frutti delle prebende. Volle pel medesimo fine il Concilio che i vescovi potessero unire perpetuamente, ma però senza pregiudizio dei beneficiati viventi, i benefizj curati e non curati per povertà ed altre cause giuridiche, e potessero anche ridurre i benefizj delle chiese vecchie e ruinose ad altre, e far restaurar le parrocchiali, costringendo anche il popolo alla fabbrica. La qual ultima ordinazione è più pia che fondata, perchè l' esortare solamente è dei ministri della religione, il costringere del principe.

L'uso antico delle offerte era trascorso in mercede, ed il volontario in costretto: grandi abusi pecuniarj contaminavano la collazione degli ordini. Per levarli, il Concilio decretava che, per la collazione degli ordini, dimissorie, testimoniali, sigillo o altro, il vescovo, o i suoi ministri non potessero ricevere cosa alcuna, e che i notaj, dove non era consuetudine di non ricevere, e dove non avevano salario, potessero ricevere un decimo di scudo.

Per tôr via lo scandalo dei parochi imperiti o viziosi, il Sinodo dava autorità e comandava ai vescovi, che ai primi dessero coadjutori idonei, ai secondi, dopo premesse le solite ammonizioni, e correzioni, castigo.

Gli usi rei di coloro i quali avevano per profes

(1562) sione d'andar pubblicando indulgenze o altre grazie spirituali della Sedia Apostolica, e di raccorre dai popoli le elemosine a pro della Fabbrica di San Pietro e di varie chiese e di altre opere pie, erano intollerabili. Contro una tale qualità di persone, venute in dispregio, in fastidio ed in odio di tutto il mondo, molti padri nelle antecedenti congregazioni avevano con veemenza gridato: Essi aver data materia, come s' esprime il Pallavicino, all'eresia di Lutero; esser innumerabili le loro fraudi, e le sottili invenzioni con le quali mungevano di pecunia la divota semplicità della plebe; doversi dunque totalmente sopprimer e una professione, che toglieva il credito alla pietà, mentre la pigliava per maschera della ribalderia. Altri rispondevano che non per esservi misto il loglio si vuol diradicare il frumento, ma purgarlo solamente dalla mistura; con l'opera dei cercatori provvedersi a molti spedali e ad altri luoghi pii, e sollevarsi le coscienze d'assaissimi uomini, ai quali troppo sarebbe grave il venire a perdere l'assoluzione del Papa; anche nei Concilj di Laterano, di Vienna e di Lione essersi conosciuti i disordini, ma riparatovi con raffrenare, non con estinguere l'esercizio.

I Legati proponevano per ispedienti di mezzo che ai cercatori si vietasse di promulgar indulgenze, raccorre limosine, o far altra funzione senza compagnia dell'ordinario o di persona che egli loro deputasse, e che a tali aggiunti fosse interdetta qualunque partecipazione di guadagno. Ma non di ciò, continua a discorrere il Pallavicino, rimanean contenti gli avversi a quella depravatissima professione, anzi dicevano che un tal decreto ne avrebbe accresciuto il numero, non corretta la fraudolenza; l'esempio dei tre ricordati Concilj ben provar nella Chiesa la volontà, ma provare ancora l'impossibilità d'emendar si cattiva generazione. Somme lodi si debbono ai tridentini Padri per questo loro sdegno contro un mestiero divenuto tanto infame è che era stata cagione di tante cala

mità alla Chiesa. Degno ancora di commendazione è il Pallavicino per aver raccontata quella parte delle azioni conciliari non solamente con sincerità, ma anicora con quelle risentite parole che convenivano al soggetto.

Mentre la discussione stava in pendente, giunse in Trento da Roma l'Arcivescovo di Lanciano. Recava ai Legati, da parte del Papa, che sua intenzione era, che si togliesse affatto quell'infamato mestiero. Onde quelli che lo sostenevano, mutarono parere, o per conformarsi al giudizio del Pontefice, o perchè nel difenderlo avevano inteso principalmente a tutelare in lui i diritti e le utilità della corte.

Fu preso adunque con universale applauso il decreto che fosse levato in ogni luogo il nome, l'ufficio e l'uso di questore, trasportando la facoltà di pubblicare a tempi debiti le indulgenze e le altre grazie spirituali nell' ordinario, o in due del capitolo, i quali anche fossero tenuti di raccogliere fedelmente la limosina e gli offerti sussidj di. carità senza veruna mercede, affinchè tutti intendessero, questi tesori della Chiesa maneggiarsi per affetto di pietà, non di guadagno. Se Leone e Clemente avessero avuto in ciò la prudenza e la continenza di Pio, la Chiesa non avrebbe avuto a piangere tante nobili province con sì grave dolore dal suo grembo divelte..

Diffinita poscia la dogmatica dottrina del sacrificio della Messa conforme alla fede Cattolica, e dati precetti onde questo rito principalissimo della religione di - Cristo fosse celebrato a tempi debiti e con quella dignità che gli si conviene, si faceva il Concilio a prov vedere all'onestà ed alla capacità dei chierici con levare lo scandalo degli scostumati ed ignoranti, peste tanto fatale alla religione. Rinnovò tutti i canoni antichi intorno alla vita ed onestà loro; volle che nessuno fosse promosso a vescovato se per sei mesi innanzi non fosse stato constituito in Ordine Sacro, e che fosse dottore di teologia, o di canoni, conventato

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