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Nel sesto, il qual, togliea l'esenzione, a'capitoli, affermo, niuna pestilenza da lui stimarsi più nociva che si fatta esenzione, riuscendo a un mostro molte membra senza un capo. Una esenzione esser giusta e santa, cioè, quella che fassi a vita dalla podestà d'alcun vescovo sospetto, La perpetuità aver presa origine da tre cagioni. Una, speciale nella Francia, essere stata l'avarizia d'un antipapa, cioè di quel Clemente VII che fu creato nel tempo della scisma, il quale non si annoverava nel catalogo de' veri papi, e perciò egli, ardiva di così ragionarne: esso e il suo scismatico successore aver vendute si fatte grazie. Un' altra, la negligenza di molti vescovi, o l'ingordigia in loro della pecunia ricevuta da' canonici in ricompensazion del prestato assenso. La terza, che tutti i canonici negli antichi tempi in Francia erano stati monaci, i quali avevano il loro special prelato, qual non hauno gli esenti canonici secolari. Imperò che il papa, si come troppo distante, non può per se medesimo tenerne cura. Per tanto non aver forza il dire, che l'esenzione fosse originata dalla fondazione: però che

al tempo della fondazione i canonici erano monaci, e sottoposti a'lor generali. Meno aver forza la possessione più vecchia d'ogni ricordo, non dovendo l'antico mal uso pregiudicare al buon uso antichissimo antecedente. E per certo o volersi dar l'esenzione a tutti, o levarla a tutti, o con tutti osservare il diritto comune. Non valer di ragione, che l'esenzion de' canonici. conservi l'autorità del pontefice, poichè questa non si manteneva con dare a'misfatti l'impunità. Piacergli che i vescovi nulla potesser fare senza i capitoli, quando i canonici si eleggessero come si dovea per diritto, ma egli secondo quel tempo non approvarlo, perciò che spesso erano persone vili ed inabili.

Nel nono, che apparteneva alle penitenze, consigliò che si constituisse dal papa un penitenziere in ogni provincia per imporre le penitenze publiche, secondo che si decretasse ne'sinodi provinciali..

Nel decimonono, il quale ordinava le provvisioni de' beneficii di cura, non estimò buono che questi si dessero a concorrenza, affinchè non se n'introducesse nel clero una certa spezie d'inchiesta per

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chiarata presunzione d'esserne il più degno, ma che si publicasse un editto per avvisar ciascuno, che, se conoscesse alcun abile, il nominasse, e che poscia i descritti ed i presentati si esaminassero, e s'eleg gesse il migliore: benchè questa necessità d'eleggere il migliore fra gli esaminati fosse contraria al comodo temporale della chiesa gallicana, e massimamente al suo, distribuendo egli forse due mila beneficii.

In tali osservazioni del cardinal di Loreno, il più notabile, che piacque per poco a tutti, fu il doversi fare un'ordinazione speciale e separata sopra i cardinali: si come per contrario radissimi riputarono conveniente che se ne limitasse il numero, secondo che a Cesare pareva acconcio (1). L'Elio patriarca gerosolimitano, di cui era la seconda voce, sopra il sesto capo. disconsiglio che si levassero tutte l'esenzioni de' capitoli. Approvarlo egli dell'altre, ma non di quelle che aveano titolo o nella fondazione o vero in concordia giurata dalle parti, e confermata dalla sede

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(1) Lettere de' cesarei all' imperadore nel dì 8 di settembre, e de' Legati al pontefice nell'ultimo di settembre 1563.

apostolica. Non volersi far ciò senza udire le altrui ragioni, perchè non si mostrassero i vescovi giudici parziali a se stessi, essendone molte concedute da Gregorio VII e da Innocenzo III sapientissimi pontefici. L'arcivescovo d'Otranto primieramente confortò, che non essendo lecito a veruna podestà ristrigner quella del papa, si ponesse una generale preservazione: salva in ogni cosa l'autorità della sede apostolica. Nel decimottavo rifiutò la proibizione d'aver molti beneficii, dicendo che ripugnava al cap. de multa, e a'concilii di Lione, e di Laterano: che ella verrebbe ad agguagliare i prebendati nel numero, e non nel valore delle prebende: e che avrebbe ritenuti molti nobili dalla vita ecclesiastica. Il Granatese sopra il nono lodò il constituire un penitenziere in ogni chiesa cattedrale, come avea detto il cardinal di Loreno.

Il Verallo nel quinto, dove principalmente si facea legge sopra le cause criminali contra i vescovi, richiese che le commessioni fuori di Roma fossero segnate per mano del papa: e ricordò che la cognizione di tali cause era dovuta a'sinodi

T. XII.

provinciali, come disponeva il canone quorundam alla distinzione 24 e 'l canone quamvis 6, q. 2, benchè la sentenza poi ne toccasse al papa. Nel decimonono riprovò che i vescovi e'l pontefice dovessero eleggere alle parrocchie secondo il giudicio degli esaminatori: non convenendo che i prelati nel fidar la cura dell'anime si regolassero dalla coscienza altrui. Nel ventesimoprimo dove tutti i primi giudicii si concedevano agli ordinarii, desiderò che si eccettuassero le cause maggiori.

Muzio Callini, arcivescovo di Zara, intorno al primo fu d'avviso che s'instituisse un' esaminazion de' vescovi: ciò che molti anni da poi ordinò il pontefice Clemente VIII e che si determinasse, non doversi veruno promuovere dal papa a vescovado, se la persona non avesse l'approvamento del vescovo suo diocesano, o del Legato apostolico dimorante in quella provincia.

L'arcivescovo di Braga nel sesto non consenti che si volessero preservar l' esenzioni constituite per fondazione, come avea sentito l'Elio; dicendo, esser ciò il medesimo che il non curare un mostro na

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