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generosità per I' uso che fece delle sue ricchezze a spegnere i debiti dei cittadini impoveriti e nel riscatto degli schiavi nati liberi; lo proclamavano pure come colui che avesse assegnato un retaggio ai cittadini plebei sulle terre che avevano conquistato col sangue per la patria

comune.

Sia che le loro città fossero state distrutte, sia che esistessero ancora sotto la forma di Borgate, un gran numero di cittadini latini facevano parte del popolo romano che era di già diventato nazione. Nazione già venuta a qualche fatto coi latini che tenevano le loro adunanze sulle rive della Ferentiua ma però non aveano ancora fatto lega fra loro. Servio strinse questa alleanza e ne ottenne il governo. Tutte le federazioni dei popoli antichi aveano rapporto al culto comune dei tempii, Il sole e la luna, Diano e Diana, erano le divinità che i latini adoravano come le più potenti, le più visibili e le più favorevoli, Servio conchiuse un trattato fra Roma e le trenta città latine, fra le quali erano eminenti Tuscolo, Gabio, Preneste, Tiburi, Aricia, Ardea. In grazia di questo trattato alzarono in comune un tempio a Diana sul monte Aventino proprio soggiorno dei latini, novelli cittadini di Roma, e in questo tempio si espose e si custodi la tavola in cui erano scritte le convenzioni e i nomi dei popoli che comprendeva. E questo si fu perchè apparteneva a Roma ed al Lazio che il monte Aventino non fosse compreso nel Pomerie nè quando Servio l' estese congiungendovi il monte Esquilino, e il monte Viminale nè per l' ingrandimento ch' ebbe in progresso.

I Sabini convenivano pure in questo tempio (117). Era nato presso un loro concittadino un toro gigante le di cui corna immani stettero lungo tempo confitte nel vesti

bolo del tempio. Gl' indovini dicevano che la patria di colui che l'avrebbe immolato a Diana sul monte Aventino dominarebbe su tutti i popoli della lega. Il Sabino avea di già adagiata la vittima d' innanzi all' altare; ma il sacerdote romano più astuto di lui mentre gli fece rimprovero d'accostarsi al sacrificio con mani impure e che l'altro si lavava nel Tevere desso consumò l'offerta.

La tradizione reca che i patrizi accogliessero a malincuore le benefiche leggi di Servio; e questo è ben credibile poichè s'era diradato il numero di quei discendenti che erano pieni dello spirito del re Teopompo, il quale rappattumava i rancori della propria moglie facendola persuasa che la potenza limitata è più durevole. A Roma come nel medio evo le forti case della nobiltà trovandosi in grado di farsi temere erano sudditi che portavano inquietudine; per questo il popolo vide con occhio sospettoso le edificazioni del console Valerio, e per questo impose agli Etruschi di scendere dal monte Celio. Si racconta altresi che Servio quando fece fabbricare sul monte Esquilino e che vi pose la propria sede, proibì ai patrizi di abitarlo come furono interdetti in progresso di abitare il Campido glio. Gli assegnò a dimora la vallea ove dal loro soggiorno nacque il vicus patricius (118). Questo luogo è a un dipresso dove si trova oggidì santa Pudenziana. I sospetti di Servio non erano senza fondamento, e si può aver come storica la cospirazione dei patrizi condotta da un capo perverso contro questo rispettabile re.

La casa reale di Roma, dice Tito Livio non dovea rimanere incontaminata di tragici orrori. I due fratelli Lucio ed Aronte figli di Tarquinio Prisco aveano condotte in isposa le due figlie di Servio. Lucio macchiato di delitto. benchè vi fosse stato tratto da altri avea una donna vir

tuosa. Aronte uomo probo e fidato era congiunto ad una femmina di spiriti d'inferno. Sdegnosa della lunga vita del padre e dell'indifferenza del marito che pareva disposto a cedere il trono all' ambizione del fratello, questa donna giurò la strage di ambidue. Trasse seco Lucio ad apparecchiare con lei la morte def fratello, poi quella della sorella e senza pur far sembianza di lutto si fu sul rogo di queste vittime che i due nequitosi accesero la fiaccola del1' Imene. Tanaquilla sopravvisse a questi orrori (119). Però poco mancò che uscisse di mano ai due colpevoli il frutto del lor delitto; poichè onde meglio adempire la legislazione Servio nutriva il disegno di depor la corona e fondare il governo consolare (120). Questo disegno però non isgomentava meno la casta che vedeva costituirsi per sempre l'odiata legislazione di Servio, se a norma dei commentarj del re si fossero nominati dei consoli. Quando la congiura parve condotta a maturità, Tarquinio convenne in senato testito delle insegne della dignità reale e i sediziosi lo salutarono principe. Informato di questi colpevoli moti il re si affretta di correre animosamente alla Curia, ed alla soglia medesima della porta prorompendo contro a Tarquinio come a ribelle, questi afferra il debile vecchio e lo precipita dall' alto dai gradini. Sanguinoso e mutilato Servio è fatto scampare da alcuni suoi fidi, ma prima di toccare la soglia della sua casa fu raggiunto dai satelliti del tiranno che lo trucidarono e ne lasciarono il cadavere bagnato nel proprio sangue.

In questo mezzo Tullia impaziente accusava la lentezza del messo che doveva recargli il fortunoso accidente. In tanto trambusto ella si fece condurre alla Curia, e salutò il proprio sposo col nome di re. Egli stesso raccapricciò della sua gioja e le intimò di retrocedere. In una contrada che serbò sempre il nome di scellerata giaceva prosteso il

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cadavere del padre; a tal vista si arretrarono i muli. Lo schiavo contenne le redini, ma ella lo forzò a passare col carro sul corpo di Servio, onde il sangue schizzò sul carro e sulle vesti.

Da un'altra tradizione accomodata da Ovidio (121) pare che la ribellione di Tarquinio occasionasse un combattimento tra i suoi partigiani e sudditi rimasti fedeli al re, il quale fuggendo verso casa fu ucciso al piede del monte Esquilino, di modo che il suo corpo sanguinoso si trovò sul cammino, quando Tullia si fece condurre verso la casa reale per occuparla da regina.

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Ardi un giorno di entrare nel tempio della fortuna ove era in venerazione la statua di suo padre, la quale si tolse a suoi perfidi sguardi (122).

Il popolo attonito e spaventato si lasciò nuovamente aggravar di catene ; ma però allorchè sulla funebre bara apparve l'immagine del re vestita degli onori del suo grado, subito si svegliarono le più nobili e le più vive passioni; e niente avrebbe potuto contener l'impeto della vendetta, · se non che la leggerezza della moltitudine è tale che bastò di velare quel venerato volto per porre in calma tanto furore (123). Visse lungo tempo nel popolo la memoria di Servio, e siccome la tradizione lo faceva nascere un giorno di none, senza che si sapesse di qual mese, fu celebrata tutti i giorni di none. Crebbe sempre più questo culto, se non che quando i patrizi tennero soli governo consolare opprimendo duramente il comune ik senato stimò necessario di prescrivere che d'ora innanzi non si terrebbero più i mercati in giorni di none, finchè il popolo della campagna fatto sdegnoso nelle adunanze dall' oppressione presente e dalla memoria di tempi migliori, non imprendesse colla violenza a ritornare in vigore le leggi del martire (124).

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ESAME DEI RACCONTI SUL PROPOSITO DI LUCIO

TARQUINIO E DI SERVIO TULLIO.

Ciò che si narra rispetto a Demarato ha una sembianza storica molto fallace per la troppa esattezza con cui s'annoda a Cipselo, ciò che assegna in pari tempo una data ben certa al regno di suo figlio Tarquinio. Se si potesse inferire che cotesto racconto fosse trapassato dalle tradizioni indigene negl' annali, avrebbe tanto più peso in quanto che l'ignoranza degl' annalisti, non eccettuati quelli del settimo secolo era stragrande in fatto di storia greca; massime ch'è troppo aperta la loro poca attitudine quando si posero a voler concordare gl' annali dei Pontefici coll' istoria di Corinto. Non hanno tenuto Dionigi il tiranno come contemporaneo di Coriolano? E per un errore contrario non hanno fantasticato che le armate cartaginesi fossero venute in Sicilia per la prima volta nel 323? (125).

Ma quest' apparenza di concordanza cronologica sta o cade colle indicazioni del tempo in cui visse Tarquinio, e queste indicazioni non hanno altro fondamento che un giuoco di numeri. Poco monta che l'abbozzo del regno di questo re che porta tutti i segni dell' invenzione sia adornato d'una tal L'antica tradizione romana s' alienava intieramente da queste determinazioni di data, nè io vi trovo modo di conciliazione. L'apparente accordo non è che una falsificazione.

apparenza.

Facendo capo da Fabio, tutti gli annali romani, tranne quelli di quel falsator di Pisone, ed inoltre gl' annali Ciceroniani e T. Livio, recavano che l'ultimo re e suo fratello

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