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variazion de' pareri non arguisse il conte sì di leggieri la verità di questi susurri: l'avere udito il discorso altrui spesso cagionare la mutazion del proprio: senza che, per se stesso il tempo varia nell'uomo tutte le cose, e specialmente l'opinioni: e vedersene la prova nel cardinal di Loreno, il quale avea sposto il suo senso in carta assai diverso dalla voce, e pur ciò non petersi attribuir nè a promesse, nẻ a minacce. Il divieto a' vescovi dependenti dal re d'intervenire nelle congregazioni non isperarsi nè dalla pietà, nè dalla prudenza del conte; perchè ciò sarebbe stato non custodire, anzi violar gravemente la libertà del concilio.

Ne' fastidii che ricevevano i Legati dall'ambasciadore spagnuolo, furono assai rinfrancati con significazioni tutte diverse di Cesare; le quali, arrivate due giorni dopo (1) la deliberazione presa nel convento rammemorato degli otto, quasi ne mossero in loro alcun pentimento inverso la dilazione delle materie. Scriveva il nunzio Delfino al cardinal Morone,

(1) Lettera de' Legati al cardinal Borromeo dei 10 d' ottobre 1563.

aver sè parlato all' imperadore, e (1) al re de' Romani quivi presente con tale efficacia di ragioni inspirategli da Dio, che avevali: indotti a voler il finimento del concilio, eziandio (se d'altro modo non si potesse) mal grado degli Spagnuoli. Ma che ciò gli prometteva il nunzio, posta condizione, che al concilio si ponesse compimento con la futura sessione degli undici di novembre: perciò che, prolungandosi a maggior tempo, eran possibili varie rivolture e di cose e di cuori. Non posseder gli Spagnuoli coll' imperadore quell' autorità che si avvisavano: e credere il nunzio ch'egli asconderebbe loro questo proponimento. Essere in balìa de' Legati anche in opposizione degli Spagnuoli terminare il sinodo con gl' Italiani e con gli altri: nel qual accidente se gli Spagnuoli si fossero ostinati di continuarlo, avrebbono dovuto cercare altro albergo: ma ove i Legati non si fidassero dell'unione e dell'autorità del papa e di Cesare, credendo a'sogni ed alle favole altrui, l'imperadore ne rimar

(1) Lettere del Delfino al cardinal Morone de'4 e de' 5: e più ampiamente è confermato in una degli undici d'ottobre 1563 fra le memorie del Morone.

rebbe innacerbito, sì che per ventura muterebbe consiglio. Aggiugneva il Delfino, che anche intorno alla libertà ed immunità ecclesiastica l'imperadore permetterebbe farsi qualche decreto, da che il sinodo aveva impresa quella materia: ma non così al capo di riformare i principi esser lui per consentire. Ed assicurava che per qualunque contrarietà d'altrui nè Cesare nè il re de' Romani si disgiugnerebbe mai dal pontefice.

Insieme con queste lettere del nunzio ne ricevette (1) una il cardinal Morone di Ferdinando medesimo in risposta d'altra fattagli presentar per lo stesso nunzio. In essa con grande affetto lo ringraziava degli amorevoli ufficii adoperati col papa in acconcio del re suo figliuolo, da'quali riconosceva quell' ammollimento d'animo verso le ragioni del re che già in sua beatitudine sperimentava. E parimente gli rendea grazie, che l'avesse fatto sicuro, non doversi statuire in concilio ordinazione sopra le podestà secolari, la quale non fosse contenuta ne'canoni antichi, anzi

(1) Da Possonia il dì 2 d'ottobre 1563.

nelle stesse leggi cesaree, nè volersi annullare se non quelle constituzioni de' signori laici, le quali impedivano a' vescovi il risedere. Aggiugneva, che di questo suggetto pochissima parte a se, quasi tutto apparteneva al sacro imperio ed agli altri principi. Non perder egli pur un attimo di tempo nel procacciar le necessarie informazioni di que'punti che gli convenisse far sentire al concilio: non credesse il Legato che questa fosse arte a ritardamento, imperò che esso avrebbe con ogni sua forza e fatica promosso il felice e presto corso del sinodo. Nè intender lui di ricusar la riformazione, nè di dar pravo esempio agli altri re, nè d'impedir la residenza de' vescovi, nè di rivocare in dubbio le cose già decretate: ma la gravità, e l'universalità dell' affare obligarlo a questa maturità. Considerassero i Legati se fosse o dicevole o giovevole che egli promettesse ciò che non era certo di poter osservare. Ove l'opera fosse toccata ai suoi stati patrimoniali solamente, non avrebbe lasciato nè al concilio, nè al papa, nè a tutto l'ordine ecclesiastico, che giustamente desiderar dalla sua prontezza.

Lo stesso corriere portò lettere di Ferdinando agli oratori (1): nelle quali egli rendeva un distintissimo giudicio della terza forma da essi mandatagli de' rimutati decreti a comparazione della seconda: e poneva sì finamente nel saggiuolo le dichiarazioni, le alterazioni, i tralasciamenti, le aggiunte, e le variazioni quivi per lui osservate, che del più industrioso Legato non sarebbesi potuta sperar si operosa diligenza.

Giunse poi a notizia di Ferdinando la denunziazione (2) dell'oratore franzese: e benchè non la stimasse buona in se, la stimò buona per se, valendogli sì di prova che egli non avea predetta a torto la difficultà de'principi a quella loro divisata riformazione, si di lode alle sue rispettose domande coll'opponimento degli altrui dispettosi protesti.

Piacque forte a'Legati questa inclinazione di Cesare a terminare il concilio; perciò che speravano di tener la prossima sessione in tempo così vicino alla sus

(1) A'3 d'ottobre da Possonia.

(2) Appare da una di Cesare agli oratori da Possonia a' 9 d'ottobre 1563.

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