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7. Non pare indegno ad uomo d'intelletto: Ch'ei fu dell'alma Roma e di suo impero, Nell'empireo ciel, per padre eletto.

S. La quale, e 'l quale, a voler dir lo vero, Fur stabiliti per lo loco santo

U' siede il successor del maggior Piero. 9. Per questa andata onde gli dai tu vanto, Intese cose che furon cagione

Di sua vittoria e del papale ammanto.

10. Andovvi poi lo Vas d'elezione

Per recarne conforto a quella fede, Ch'è principio alla via di salvazione. 11. Ma io perché venirvi? o chi'l concede? Io non Enea, io non Paolo sono; Me degno a ciò, nè io nè altri crede. 12. Perchè, se del venire io m'abbandono, Temo che la venuta non sia folle.

Se' savio, e 'ntendi me' ch'i' non ragiono.

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(SL) INDEGNO, Georg., I: Nee fuit indignum Superis, bis sanguine nostro Emathiam... pinguescere. PADRE. Æn., XII: Pater Encas, romana stirpis origo. VIII: Pater urbis et auctor. Rom., IV, 17: Padre di molte genti.

(F) IMPERO. Egli è scritto: nascerà il trojano Cesare della bella schiatta, il quale terminerà lo imperio coll'Oceano, e la fama colle stelle. Cosi scrive ad Arrigo. V. Conv. 1, 4 IV, 5; e Monarchia, dalla pag. 7 alla 9. Conv.: E manifesta la divina clezione del sommo imperio per lo nascimento della Santa Città, che fu contemporanea alla radice della progenie di Maria,

8. (L) LA QUALE: Roma. E'L QUALE: l'impero. (SL) LA QUALE, E'L QUALE. Forma simile nella Som.: Ai parenti e alla patria, dai quali e nella quale fummo nati e cresciuti. SANTO. Modo de' Salmi.

(F) PIERO. Gesù Cristo dicendo in Luca: Pietro, conferma i tuoi fratelli, lo fa quasi il fratel maggiore de' sacerdoti tutti: onde nella Somma il modo: Sacerdoti minori. Bocc.: Piero il maggiore, a differenza di molti santi uomini nominati Pietro.

9. (L) ANDATA agli Elisi.-Tu, Virgilio, nell'Encide. (SL) VANTO. Æn., VI: Pauci, quos æquus amavit Jupiter, aut ardens evexit ad æthera virtus, Dis geniti, potuere. CAGIONE. Non è già che le cose udite da Enca intorno all'impero di Cesare (Æn., VI) fossero causa della sua vittoria e della dignità pontificia; ma la dignità pontificia era l'ultimo fine delle cose da Enea allora udite, che lo inanimarono a vincere. V. De Monar. 10. (L) ANDOVvi: in cielo. VAS: vaso (S. Paolo). (SL) VAS. Acta, IX, 15: Vas electionis. 11. (SL) MA. Il discorso di Dante è il contrapposto di quel d'Enea (Æn., VI): Si potuit Manes arcessere conjugis Orpheus, ec.

12. (L) DEL : al. ME': meglio.

(SL) ABBANDONO. Ramondo di Tolosa, poeta provenzale, dice che l' usignuolo s'abbandona del cantare. Semint. Si confida del correre. — FOLLE. En., VI: Nigra videre Tartara, el insano juvat indulgere labori. L'indulgere risponde all' abbandonarsi di Dante.

15.

43. E quale è quei che disvuol ciò che volle, E per nuovi pensier cangia proposta, Si che dal cominciar tutto si tolle; 44. Tal mi fee' io in quella oscura costa. Perchè pensando consumai la 'mpresa Che fu nel cominciar cotanto tosta. Se io ho ben la tua parola intesa (Rispose del magnanimo quell'ombra), L'anima tua è da viltate offesa. 16. La qual molte fiate l'uomo ingombra, Si che d'onrata impresa lo rivolve, Come falso veder bestia quand' ombra. 47. Da questa tema acciò che tu ti solve, Dirotti perch'io venni e quel che 'ntesi Nel primo punto che di te mi dolve. 48. lo era intra color che son sospesi;

E Donna mi chiamò beata e bella, Tal che di comandare io la richiesi. 49. Lucevan gli occhi suoi più che la stella. E cominciommi a dir soave e piana Con angelica voce in sua favella:

13. (L) TOLLE : leva.

(F) VOLLE. Som.: La volontà si muta se l'morni comincia a volere quel che prima non voleva, o lasri di volere quel che voleva. Il che non può accadere se no presupposta mutazione o dalla parte della conoscenz o nella disposizione di colui che voleva, Altrove: 0, contro quello che prima proponeva, non già contro quell che vuole adesso (hai qui le parole volere e propurre Altrove: Mutando propositum.

14. (L) CONSUMAI: precorsi col pensiero le difficolt dell'impresa. TOSTA: Subitamente voluta.

-

(SL) CONSUMAI. Æn., VI: Omnia præcepi atqı animo mecum ante peregi, - XI: Arma parate, animis spe præsumite bellum.—TOSTA. En., XII: Incœptus subitum.

15. (L) DEL MAGNANIMO: Virgilio.

(SL) MAGNANIMO. Virtù, nota l' Ottimo, contrar alla pusillanimità da cui Dante era preso. 16. (L) ONRATA: onorata. — ONBRA: adombra. (SL) OMBRA. Novellino, XXXVI: Pungea l'as no, credendo che ombrasse. 17. (L) Solve: sciolga. - DOLVE: dolse, ebbi piet (SL) SOLVE. Bucol., IV: Solvent formidine. 18. (L) TRA COLOR: nel limbo, fra cielo e inferno. LA RICHIESI: dissi, comandami.

(F) BEATA. Dice nel Convivio che, dacchè Be trice era morta, e' la riguardava come la sapienza licissima e suprema. E altrove: Beatrice beata. 19. (L) LA STELLA: il sole. - PIANA: (del tono.) (SL) STELLA. O la stella mattutina, o il sole c

i Greci chiamavan astro, e i trecentisti stella: e Da te: La bella stella che 'l tempo misura. E stellone dic in Toscana tuttavia un sol cocente. La stella però dis altrove per una stella, o per le stelle. Turbar lo s ed apparir la stella. - Li nostri occhi... Chiaman la st la talor tenebrosa. G. Guinic. : La lucente stella Dian Che appare anzi che il giorno renda albóre. PIA Albertano: Con piane parole e con soavi mi vuo' ins cere... Dante, Rime: Quanto piani, Soavi e dolci me si levaro (gli occhi di Beatrice).

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(F) Moro. V. Inf., I; Aristot. Fis.: Tempus est numerus motus. Platone afferma il moto non potere aver principio se non da forza la qual si mova da sẻ. Cosi s. Tommaso (Som., IV): Il moto e il tempo hanno qualità e continuità dalla grandezza sopra la quale passa il moto, siccome è detto nella fisica. Altrove: La generazione e il moto non rimarranno in eterno. Æn., I: In freta dum fluvii current... polus dum sidera paseet: Semper honos, nomenque tuum, laudesque manebunt.

21. (L) AMICO MIO, E NON DELLA VENTURA: me ama, non i beni estrinseci a me.

(SL) AMICO. Cornelio: Non fortunæ sed hominibus solere esse amicum. V. Pur., XXX.

(F) IMPEDITO. Som.: L'impedimento del peccato. 23. (SL) ORNATA. V. s. Girol.: Ornati parlari.

(F) PAROLA. Prov., XV, 24: La via di vita alIsomo erudito che scansi l'inferno ultimo.

24. (SL) ANDARE. Questa missione somiglia un po' a quella di Giuturna nel XII dell' Eneide. Auctor ego audendi. E d'Opi nell' XI.

25. (L) SIGNOR MIO: Dip.

TACETTE tacque.

26. (L) ECCEDE: vince in dignità ogni cosa contenuta sotto la luna.

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quanti enti sono sotto la luna. Cic., Somn. Scip.: Infra nihil est nisi mortale et caducum: præter animas generi hominum... datas: supra lunam sunt æterna omnia. Aug., De Trin., XIV: Nulla maggiore della mente umana, se non Dio.

27. (L) M'È TARDI: Vorrei averlo già fatto. - APRIRMI: dirmi. TALENTO: volontà.

(SL) COMANDAMENTO. Aletto a Giunone che viene a trarla d'inferno: Facta puta, quæcumque jubes : inamabile regnum desere. (Ovid. Met., IV). —TARDI. Par., X: Gli parve esser tardo. Albertano, 1, 2: Alla cupidità par tarda l'avaccianza. Æn., I: Tuus,oregina, quid optes, Explorare labor; mihi jussa capessere fas est. E più cortese nel poeta italiano l'offerta.

28. (SL) Loco. En., XII: Quis Olympo Demissam, tantos voluit te ferre labores? ARDI. Æn., IV: Ardet abire.

30. (L) PAUROSE: terribili.

(SL) PAUROSE. Armannino: Figure paurose, pallide e scure. Vive in Toscana.

(F) PAUROSE. La sentenza è dell' Etica di Aristotile, lib. VIII. - Som.: Il timore riguarda due oggetti, cioè il male, e la cosa dalla cui potenza può il male

essere recato,

31. (L) TANGE: tocca.

(F) FIAMMA. IS., XLIII, 2: Andando nel fuoco non brucierai; e la fiamma non arderà in te. Psal. XXII, 4: Se andrò per mezzo all'ombra di morte non temerò de' mali. Non è già che que' del Limbo penino in fiamme. Incendio è qui per l'inferno in genere. L'Inferno di Dante è simbolo del mondo, e lo dice nella lettera a Care: Tratta di questo inferno nel quale pellegrinando come viandanti meritare e demeritare pos

siamo.

32. (L) DONNA: la Vergine.-SI COMPIANGE: si duole a Dio. QUESTO 'MPEDIMENTO: impaccio di Dante. FRANCE tempera lo sdegno celeste.

(SL) COMPIANGE. Novellino: Come uno giullare si compianse dinanzi ad Alessandro d'un cavaliere. Vive nel dialetto di Corfu. DURO. Sap., VI, 6: Judicium durissimum his, qui præsunt, fiet. FRANCE. Cicer.: Frangere sententiam. Æn., VI: Si qua fata aspera rumpas, Prov., XXV, 45: La lingua soave frange la du

rezza.

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(SL) FEDELE. Vita N.: Amore, ajuta il tuo fedele. 34. (L) Io: Beatrice. RACHELE: Contemplazione. 35. (L) LODA: studiar le cose di Dio è lodarlo. Cu: perchè.

(SL) BEATRICE: Bocc., Vita di Dante: Il cui nome era Bice, comeche egli dal suo primitivo nome, cioè Beatrice, la nominasse. Dante, Vita Nuova: La gloriosa donna della mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapevano che si chiamare (cioè non sapevano qual senso arcano fosse in quella voce; ovvero non sapevano con quale più alto nome chiamarla.) — LODA. L' ha nel Convivio; ed il Passavanti.

(F) LODA. Som.: La lode di Dio consiste nella intenzione, cognizione e affezione. — Uscio. Conv.: Fatto amico di questa donna, incominciai ad amare li seguitatori della verità, e odiare i seguitatori dello errore... Il fo perchè sua casa in pregio monti. Hor. Carm., III, 2: Virtus... Cœtusque vulgares, et udam Spernit humum fugiente penna.

36. (L) PIETA: pietà.-FIUMANA: Acheronte, che al mare non dà tributo, ma cade all' inferno.

(SL) FIUMANA. Inf., XIV: Non già che Dante nella selva fosse alla riva di questa fiumana, ma poco lontano. En., VI: Tenent media omnia silvæ, Cocytusque sinu labens circumfluit atro.

37. (L) FUR: furono. 38. (L) ONESTO: nobile.

UDITO e profittatone. (SL) ONESTO. Virgilio (Georg., IV), della PleUDITO. In senso simile dice

iade: Os... honestum.

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di Beatrice: Ond' è laudato chi prima la vide.

(F) ONESTO. La bellezza e purità dell' ingegno di Virgilio è posta da Dante quasi grado dalla scienza temporale all' eterna.

39. (L) PERCHÈ onde. DEL: al.

(SL) VOLSE per nascondere il turbamento; o, forse, al cielo.

40. (L) VOLSE: volle. FIERA: lupa.

(F) FIERA. Ambr., de virg.: Gl'incontri e nascòn

44. Dunque che è? perchè, perche ristai? Perché tanta viltà nel cuore allette? Perché ardire e franchezza non hai? 42. Posciachė tai tre Donne benedette Curan di te nella corte del cielo, El mio parlar tanto ben t'impromette? 43. Quale i fioretti dal notturno gielo Chinati e chiusi, poi che 'l sol gl'imbianca. Si drizzan tutti aperti in loro stelo; 44. Tal mi fec'io di mia virtute stanca, E tanto buono ardire al cuor mi corse, Ch'io cominciai come persona franca: Oh pietosa colei che mi soccorse! E tu cortese, ch'ubbidisti tosto Alle vere parole che ti porse! 46. Tu m'hai col desiderio il cor disposto Si al venir con le parole tue, Ch'io son tornato nel primo proposto. 47. Or va, ch'un sol volere è d'amendue: Tu duca, tu signore, e tu maestro. Così gli dissi; e, poi che mosso fue, 48. Entrai per lo cammino alto e silvestro.

45.

digli delle bestie spirituali. Is., XXXV, 9: Non erit ibi leo, et mala bestia non ascendet per eam : nec invenietur ibi: et ambulabunt qui liberati fuerint. Hab., I, 8. Più leggieri del pardo i suoi cavalli, e più veloci de' lupi da sera.

41. (L) ALLETTE: accoglie.

(SL) ALLETTE. Pier Filippo Pandolfini: Allettare a sè stessi pericoli e danni. FRANCHEZZA, Novellino, VII: I regni non si tengono per parole, ma per prodezza, e per franchezza. Valeva forza d'animo libero.

43. (SL) QUALE 1: sconcordanza apparente, come in Virg., Buc. V: Quale sopor. -[ FIORETTI. V. Berni, Orl. Innam. I, 12, st. 54, 86; Politian. Epist., lib. VIII; Marini, Adone, cap. XVII, st. 63.]

44. (SL) CORSE. In senso opposto. En., VI: Teucris per dura cucurrit Ossa tremor. Ma più bello al

cuore.

45. (SL) PORSE. Æn., V, IX: Talia dicta dabat.

(F) O PIETOSA. Is., XXXVIII, 10-49. Ezechia, dopo aver detto in dimidio dierum meorum, prosegue: Dixi: non videbo Dominum Deum in terra viventium, non aspiciam hominem ultra et habitatorem quietis... Sperabam usque ad mane: quasi leo sic contrivit omnia ossa mea... Attenuati sunt oculi mei, suspicientes in excelsum. Domine, vim patior, responde pro me ... Ecce in pace amaritudo mea amarissima. Tu autem eruisti animam meam ut non periret... Quia non infernus confitebitur tibi...; non expectabunt qui descendunt is lacum, veritatem tuam. Vivens, vivens ipse confitebitur tibi.

46. (L) PRIMO PROPOSTO d'andare. 47. (L) FUE: fu. ALTO: fondo.

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(SL) DUCA. .En., VI: Enea alla Sibilla: doceas iter, et sacra ostia pandas.

48. (SL) ALTO. Difficile, come sopra alto passo; 0 profondo. Georg., III: Altorum nemorum. VI: alla terra. Ovid. Met., IX: Est via declivis funesta nubila taxo; Ducit ad infernas... sedes. Anche Orazio (Sat., II, 5) paragona l'errore a una selva: Velut silvis ubi passim Palantes error certo de tramite pellit.

Le Donne del Poema.

Nel Convito la ragione è chiamata donna gentile. I più antichi commentatori, l'Ottimo, Pietro di Dante, Benvenuto, il Buti veggono nella Donna gentile, in Rachele, in Lucia, la grazia preveniente, la illuminante, la cooperante: il Boccaccio, nella Donna gentile, l'orazione; in Beatrice vede la divina bontà, la grazia in Lucia. Ma forse la Donna gentile è la Vergine, alla quale nel XXXIII del Paradiso: Donna, se' tanto grande... E poi: La tua benignità non pur soccorre A chi domanda, ma molte fate Liberamente al dimandar precorre; ch'è il caso di Dante. E la preghiera che volge a Maria s. Bernardo, che conceda a Dante la visione della Divinità, e sempre ne custodisca gli affetti, conferma l'opinione mia.

La Vergine, simbolo, se così piace, della grazia, perché piena di grazia, richiede Lucia, simbolo di quel lume di carità Che mena dritto altrui per ogni calle, Lucia, che nel IX del Purgatorio portava Dante fino alla porta dell' espiazione: e Dante è il fedele di Lucia, perch' ama la verità rivelata, e crede Dio unico bene dell' intelletto.

Siccome Beatrice, Virgilio, Rachele sono persone reali insieme e simboliche, cosi la Donna gentile e Lucia, sono, al mio credere, persone reali: cioè la Donna gentile, Maria; Lucia, la vergine che per la luce del vero perdè la luce degli occhi, e odia ogni crudeltà come quella che sofferse ingiusto dolore. La luce della verità, simbolicamente, odia i crudeli, perchè la barbarie è ignoranza.

Beatrice che, secondo il Convivio, è la sapienza felicissima e suprema, siede con Rachele, simbolo della contemplazione (4). Ma mia suora Rachel mai non si smaga Dal suo miraglio, e siede tutto giorno. Beatrice è la scienza teologica, Rachele la vita contemplativa accompagnata da affetto sovente doloroso, come suona il bellissimo di Geremia: Rachele piangente i suoi figli, e non si volle consolare perchè più non sono; però seggono insieme (2); e Beatrice nell' ultimo del Purgatorio si mostra anch'essa dolente de' mali della Chiesa, tanto, the poco Più alla Croce si cambiò Maria. Nella rosa celeste, in alto, è Maria; sotto lei, Eva; sot'Eva, Rachele e Beatrice: ma più su di lor due, di faccia ad Adamo, Lucia. La Vergine dunque era a Lucia più vicina. Lucia scende a Beatrice, Beatrice a Virgilio. Ciò vuol dire che per la scala degli umani studii Dante doveva salire alla scienza religiosa, quindi illuminarsi nel vero supremo ed avere la grazia.

(1) Purg., XXVII. — (2) Purg., XXXIII.

Se alcuno volesse inoltre vedere in quest' allegoria la ragione universale che, illuminata da Dio, si congiunge alla sapienza divina e all' umana per salvare un' anima da' pericoli, e per mostrarle la verità religiosa, morale, politica; noi non contraddiremo a questa interpretazione, purchè la s' accoppii alla prima. Dante amava le allegorie non pur semplici ma doppie e triplici; e lo dice nel Convivio, e nella lettera a Cane le chiamò polisense.

Tre le flere che assalgono Dante, tre le donne, che ne prendono cura. Le flere son la lussuria, la superbia, l'avarizia; le donne, l'Umile ed alla più che creatura, la vergine Lucia, e quella Beatrice, della quale nel XXXI del Paradiso è lodata la magnificenza. E se non fosse così facile come pericoloso l'arzigogolare sopra i concetti degl' ingegni grandi e trovarvi per entro cose ch'e' non vi hanno mai messe, direi che la Donna gentile, umile ed alta si contrappone al leone nel quale è simboleggiato da s. Pietro il superbo Lucifero; Beatrice la fiorentina, la pura imagine dell' amor suo, alla forza, cioè a que' piaceri che corrompevano Firenze e la preparavano a servitù; Lucia, che sull' alba prende il Poeta e lo porta all' entrata de' giri ove si purga ogni colpa, alla lupa, animale d'insidie notturne (1). E potrei soggiungere, che alla lupa mossa fuor d'Inferno per opera dell' invidia, ben si contrappone Lucia, mossa dall'alto per opera di Maria vincitrice dell' invidia infernale; Lucia, che col nome dice il contrario di quel vizio, il quale porta nel nome il difetto del vedere, e nel Purgatorio è punito con dolorosa cecità.

Confessiamo per altro, che se almeno il principale significato del simbolo fosse stato indicato un po' più chiaramente, la poesia non perdeva della sua luce.

Quanto a bellezza di colori, la più alta figura è la Donna gentile, Maria, della quale il trionfo comincia nel vigesimo terzo del Paradiso, e si svolge, come la rosa dal Poeta dipinta, negli ultimi canti. E nel Purgatorio ritorna, ad esempio delle virtù opposte ai vizii espiati, sempre in luce soave l'imagine di Maria (2). Poi viene Beatrice, che già in questo secondo dell' Inferno apparisce fin sotterra lucente di chiarezza celestiale sempre lungo la via orribile di laggiù e ardua del monte, rammentata con desiderio, quasi redentrice dell'anima del Poeta; della qual Beatrice il trionfo

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negli ultimi del Purgatorio non è che l'iniziamento della sua sempre crescente e gioia ed amabilità per le sfere della raggiante armonia. Il poco che qui nel secondo dicesi di Lucia è cosa gentile, e prepara a quel più che se ne tocca laddove ell' è rappresentata portare il Poeta dormente fin presso alla porta sacrata. Anco Rachele ritorna, prima che nell' alto del fiore celeste, in un cenno che ne fa Lia, bella anch' essa, non quale nella Genesi cogli occhi cispicosi, appunto per dimostrarci come nella fantasia del Poeta e nelle tradizioni religiose del tempo le imagini storiche si trasfigurino in forma ideale. Ed è imagine storica trasfigurata Matilde, nella quale l'antico Guelfo vedeva conciliati a qualche modo i suoi desiderii della riverenza debita alla suprema potestà cristiana residente in Italia colla civile grandezza della nazione e coll' avviamento alla sua futura unità.

Belle, ciascuna d' un suo proprio genere di bellezza, le figure della Pia, di Piccarda e di Cunizza (1); ma più prediletta da Dante Piccarda, come Fiorentina e come affine alla moglie di lui, e tanto più accarezzata con religiosa affezione, quasi per compensare l'odio versato sul fratello superbo (2). Men pietose che quelle della Pia, moglie infelice, suonano le parole di Sapia cittadina

(1) Purg., V, XXIV; Par., III, IX. — (2) Inf., VI; Purg., XXIV; Par., III.

invidiosa (1); ma suonano anch'esse pietà: e per contrapposto richiaman alla mente quel che dell'invidia altrove è detto: La meretrice che mai dall' ospizio Di Cesare non torse gli occhi putti (2). E queste parole rammentano quel che della donna invereconda e straziata è in più luoghi tuonato (3). Gli occhi putli rammentano la rabbia fiorentina, che superba Fu a quel tempo, siccom' ora è pulta (4): e dalle riprensioni di sdegnoso dolore contro il lusso sfacciato delle donne fiorentine (3), il pensiero ricorre alla vedova di Forese, con si care parole commendata, e agli antichi costumi di Firenze pudica dipinti con sì freschi colori (6). Alla vedova di Forese fa contrapposto quella di Nino di Gallura (7), e questo nome rammenta quell'altra Che succedette a Nino e fu sua sposa (8), la imperatrice nominata insieme con Elena e Didone e Cleopatra, regine tutte. Tra le donne in quel cerchio punite, quella a cui si raccoglie la compassione del Poeta è Francesca da Rimini. Ed è cosa notabile che, tranne le anzidette altre donne, egli non rincontri nell' Inferno che Taide e Mirra, l'una personaggio della commedia e l'altra della favola, men persone che simboli (9).

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