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ventù (1) la quale, al parer suo, nel quarantacinquesimo anno si compie (2)» e quando egli mai non arrivò alla vecchiaia. Lasciò a mezzo le altre opere, e aveva composta a ogni modo in gran parte, se non terminata del tutto, la sua Commedia. Or se fosse stata o intera o in parte conosciuta dagli Italiani, sarebbe egli importato a Dante di aiutarsi a sollevare la sua fama commentando le sue canzoni? Inoltre, nel libretto della Vita Nuova ei descrive Beatrice corporea e sensibile; e presso che ad ogni pagina del Convito spiega com' ei s'era creato un quasi divino amore allo intelletto (5) »

«<e siccome il divino amore è tutto eterno, così conviene che sia eterno il suo oggetto di necessità, si ch'eterne cose siano quelle ch'egli ama (4). » Però l'intelligenza spirituale ed eterna nella quale la sua fantasia aveva trasformato Beatrice, gli faceva sentire quel piacere altissimo di beatitudine il quale è massimo bene in Paradiso (5). » Si fatte illusioni, comechè non comuni, non sono fuor di natura; e per che gradi avessero occupata la mente di Dante, si dirà in altro luogo. Or che la donna corporea figliuola d'uomo nella Vita Nuova, e la donna intellettuale nel Convito, « bellissima nata da Dio (6), creata dal principio dinanzi i secoli (7), si fossero immedesimate nella donna che lo guida ne'cieli del Paradiso, ei l'accenna più volte. E non per tanto, non che nominare il poema, diresti che mentre è tentato di smoversi dal proponimento deli

(1) Convito, pag. 67.

(2) Ivi, pag. 260, e qui, sez. cv. (5) Ivi, pag, 181.

(4) Ivi, pag. 120-158.

(5) Ivi, pag. 174.

(6) Ivi, pag. 185.

(7) Ivi, pag. 181.

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berato di non parlarne, pur vi persevera

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però che della immortalità dell'anima è qui toccato, farò una digressione, ragionando di quella; perchè di quella ragionando, sarà bello terminare le parole di quella viva Beatrice beata, della quale più parlare in QUESTO LIBRO non intendo per proponimento (1). E dove mi occorrerà di trattare delle altre opere sue, si scopriranno disegnate da esso quasi illustrazioni preliminari al suo grande lavoro, affinchè gli uomini un giorno non ignorassero, e come ei l'aveva concepito; e perchè contro l'opinione de'savi di quell'età l'avesse scritto in lingua volgare (2); e con quali avvertenze doveva essere letto, tanto più quanto ei non potevalo preparare se non a'posteri.

XXX. Perchè, e dove si sarebbe egli mai sperato rifugio se non sotterra da tanti che in tutti i suoi versi irritava fieramente ad opprimerlo? L'esempio degli storici generosi i quali per compassione a'figliuoli dissimularono le infamie de' padri (3), non s'uniformava nè a'costumi d'Italia, nè alla natura di Dante, nè alle intenzioni del suo poema. Talvolta anche, esaltando alcuni che nelle cose pubbliche poser l'ingegno a ben fare, li rappresenta bruttissimi di colpe domestiche nell' Inferno (4); forse e per debito di giustizia, e per risentimento contro alle loro schiatte. Nè quegli illustri dannati erano tutti Fiorentini, e molti de' loro figliuoli tiranneggiavano potenti nelle città di Romagna, dov'egli andavasi ri

(1) Convito, pag. 121.

(2) BOCCACCIO, Vita di Dante, pag. 67, e qui appresso sez. XCIX—

CXXIV.

(3) TAC. Annal., spesso.

(4) Inf.cant. vi, vers. 79-86. Cant. xxш, 41, seg.

covrando (1): e chi crederà che leggessero la Commedia, e si rassegnassero pazientemente all'infamia? La sentenza celebrata da Dante

Che bello onor s'acquista in far vendetta (2)

sarebbe stata ritorta contro di lui, e giustificata dall'esempio ch'ei ne porgeva. Era il grido, il sentimento, e legge di tutta l'Italia; nè poteva essere trascurata senz' ignominia e delitto di crudeltà alle ombre de'morti (3). La religione non aveva che rimutato i nomi alle antiche opinioni. La vendetta dei congiunti offesi non era solamente costume, come altri crede, portatovi da' Germani (4); ma insieme eredità degl'Italiani, onde come i loro antenati gentili, pari pietate, paternas inimicitias magna cum gloria persequebantur (5). Aggiungi che la vendetta era cardine del diritto di guerra e di pace nelle contese fra i ghibellini ed i guelfi; e perchè fosse debitamente vendetta, doveva trapassare la offesa (6). Ma Dante compiacevasi nel poema,

D'aversi fatta parte per se stesso (7);

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Credo uno spirto del mio sangue pianga

O duca mio, la violenta morte,

Che non gli è vendicata ancor, diss' io,
Per alcun, che dell' onta sia consorte,
Fece lui disdegnoso; onde sen gio

Senza parlarmi, sì com' io stimo:

E in ciò m'ha fatto egli a sè più pio. »

2) Inf. xxvi, 37-54. Purgat. xiv, 79-126.

Inf. XXIX.

(3) Canz. iv, vers. ult. Op. tom. V, pag. 406. Ediz. Zatta.

(4) MERIAN, Mém. sur la Comédie de Dante-e gli Editori recenti, Firenze e Padova, al canto cit., vers. 20.

(5) CICERO, Lucullus, 1.

(6) BOCCACCIO, Giorn. vi, nov. 7.

(7) Paradiso, canto xvi, v. 61-69, e i commenti a quel luogo del Lombardi con le giunte dell'Ediz. Padovana, an. 1822, e qui appresso, sez. LXXX-LXXXI.

e assaliva implacabile e guelfi e ghibellini ad un'ora. Anche i fuorusciti con lui di Firenze gli pareano compagnia malvagia e scempia: e poichè si armarono a rientrarvi e furono rotti, ei gli incolpava d'avere ridotte le cose a rovina per la loro bestialità; e dolevasi che si volgevano ingrati, matti, ed empi contro a lui solo (1) – accuse vere forse o tutt'al più esagerate; ma s'ei le avesse fulminate pubblicamente mentre viveva, come noi le troviamo nella Commedia, ei si sarebbe circondato di persecutori anche fra' compagni del suo lunghissimo esilio.

XXXI. Dov'ei loda individui di città guelfe, vitupera le città; e dove sostiene le ragioni de'ghibellini, ferisce i principi della fazione. Pare che il matrimonio di Beatrice d'Este di casa guelfa col primogenito della casa Visconti, ferocissimi fra'ghibellini, rallegrasse tutta l'Italia della speranza d'alcuna tregua alle guerre civili (2). Ma Dante credeva a ragione che si nuove alleanze avrebbero perpetuato in potere i suoi nemici in Toscana; e la occasione gli pareva propizia a disacerbare sopra gli Estensi e i Visconti il disprezzo ch'ei sentiva amarissimo per tutti i Signori lombardi (3). Però dimentica il suo terzo cielo dell'amore platonico, e l'indulgenza che ei pur nell'Inferno sentiva gentilissima per le donne; colloca fra'destinati alla beatitudine eterna il primo marito di Beatrice d'Este: e gli fa dire

Per lei assai di lieve si comprende

Quanto in femmina fuoco d'amor dura,

Se l'occhio e il tatto spesso nol raccende (4).

(1) Parad. Ivi.

(2) MURATORI, Annal. d'Italia, an. 1300.

(3) Vedi la citazione dal Convito qui addietro sez. XXIV. (4) Purgat. cant. vi, vers. 70-84.

E ricorda una figliuola innocente quasi abbandonata dalla madre per correre a un altro letto. A noi l'episodio riesce de' più affettuosi di tutto il poema. Ma allora le seconde nozze erano abbominate dal popolo; e chiamate bigamia da' frati, forse perchè raccoglievano più scarse elemosine per le anime de' mariti defunti (1): e i feudatari esigevano che fosse pagala a'servi delle loro stalle una tassa dai vedovi e dalle vedove che si rimaritavano (2) credo in via d'ammenda della libidine

Quæ solet matres furiare equorum.

Dante professando di biasimare,

Per quel dritto zelo

Che misuratamente in cuore avvampa (3),

santificava la severità della satira; e la taccia di incontinenza applicavasi più rigida a Beatrice d'Este, perchè il suo nuovo marito era giovinetto, ed essa non lieta del fiore degli anni. Se Dante vivendo avesse pubblicato que' versi, non avrebbe potuto porre mai piede senza pericolo mortale in veruna delle tante città signoreggiate dagli Estensi e dai Visconti in Italia. Jacopo del Cassero gl'insegnò nel Purgatorio che i loro sicari lo avrebbero giunto anche altrove. Aveva divolgato che Azzone fratello di Beatrice s'era giaciuto con la sua matrigna, che era nato di lavandaia, e cose si fatte; e fu trucidato: Quel da Este il fe' far (4).

(1) Purgat. cant. xxш, e la postilla latina del Codice citato nelI'Ediz. Romana al verso 87.

(2) MURATORI, Dissert. xxIII, presso il Lombardi al cant. vi del Purgat.

(3) Purgat. cant. cit.

(4) Purg., v, 64, seg.-e l'Editore della Commedia nella raccolta milanese de' Classici.

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