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Cesena, di Forli e di Faenza, ora scomunicato ora assolto, or vinto or vincitore, la buona e l'avversa fortuna l'avevano provato esimio guerriero, e indomito parteggiatore (1). A costui Pisa, disperata per la morte dell'imperatore di resistere onoratamente alla lega Guelfa, deliberò di confidare se stessa insieme con un migliaio tra Tedeschi, Brabantesi e Fiamminghi, che allo sciogliersi del campo imperiale sotto un Baldovino da Corneto e un Tomaso da Sette-Fontane erano accorsi a servirla. Uguccione non ebbe appena ricevuto quell'autorità dalle unanimi voci degli atterriti cittadini, che di precaria e limitata ch'ella era, pose mente a renderla perenne ed assoluta. A questo fine tu l'avresti veduto maneggiarsi co' doni, colle promesse, colla supremazia del comando attorno a quei mercenarii, e lusingarli, e farseli divoti; e per acquistarseli affatto, anzichè imporre fine alle guerre, incominciarne una colla vicina Lucca.

Invano questa innocente città s'affrettò a implorare pace, invano i Pisani imposero ad Uguccione di concederla, e licenziare le soldatesche straniere. Uguccione finse bensì di essere pronto a obbedire: ma intantochè il popolo si addormenta sulle false trattative di un accordo col nemico, egli uccide i capi di quei che vogliono la pace, costringe Lucca a ricettare i Ghibellini fuorusciti, e rivolgendo su Pisa le forze da essa medesima assoldate, la sforza a giurargli sommessione. Quindi sotto nuovi pretesti rifà guerra giugno a Lucca, vi risuscita addosso a' Guelfi i Ghibellini testè ripatriati, vi s'introduce a tradimento per una

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(1) Troya, Veltro allegorico.

posterla, e dopo averla saccheggiata otto di la dichiara sua preda (1). Diventato signore di così nobili città, colle spoglie di Lucca, coi tributi di Pisa, Uguccione si radunò attorno 1,300 soldati stranieri, e 600 esuli italiani, li divise in isquadre, prepose a governarle uomini fedelissimi, armò 20 migliaia di sudditi, e stese i suoi disegni sopra Firenze.

Ora qual riparo trovò mai codesta repubblica alla 2)a: sua indipendenza assalita dalle masnade prima del- 131 l'imperatore, poi del signore di Pisa? Quello dei deboli, che cedono parte di loro stessi, per salvare il rimanente. La città si abbandonò per cinque anni in signoria al re di Napoli a patto che questi si assumesse il carico della sua difesa. Infatti un Piero e un Filippo di quella real casa vi vennero con 800 cavalli a reggere la guerra contro Uguccione (2). Si ingaggiò battaglia a Montecatini sulla Nievole, dai Fiorentini per impedire la ritirata del nemico, da Uguccione per assicurarla; ma bentosto la cavalleria di Firenze, respinta dalle lunghe lancie de' gialdonieri pisani (3), ed assalita di costa da' soldati tedeschi e brabantesi, lasciò fuggendo memoranda vittoria al fortunato campione (4).

(1) Alb. Mussat. de Gest. Ital. L. III. R. 8-10. L. V. R. 3-9. (2) G. Vill. IX. 55. 60. 69.

(3) Chiamavansi gialdonieri, come già avvertimmo, i soldati a piè armati di lunghe lancie o gialde. Mancava costoro l'ordine e il coraggio; del resto questo pur fu il rimedio messo in opera dagli Svizzeri contro la cavalleria. Falla il Grassi là dove definisce i gialdonieri per soldati a cavallo. (Dizion. milit. ad Voc.).

(4) G Vill. IX. 69. 70. — Alb. Mussat. de Gest. Ital. L. V. Rubr. 15.

Cresciuta pertanto a doppio in città la sconfidenza nelle proprie forze, si implorò l'aiuto di 200 cavalli dal re di Napoli, si spedi in Alemagna ad assoldare il conte di Luttimburgo con 500 armati, trattossi di far venire di Francia Filippo di Valois con 800 seguaci, e la signoria conceduta alla casa d'Angiò prorogossi a otto anni (1).

Ma assai meglio di questi fallaci rimedii scioglievano aprile Firenze dalla tema d'Uguccione i costui sudditi mede1316 simi. Stanche del comandare soldatesco, delle tiran

niche esecuzioni e delle insopportabili imposte, Lucca e Pisa, pigliando il tempo ch'egli era uscito dall'una per recarsi nell'altra, si sollevarono; e, avendone corrotto i mercenarii, vil fondamento di instabile potere, ne uccidevano la famiglia, ne atterravano il palagio, e si riducevano cupidamente in libertà. Uguccione, escluso nel medesimo istante da entrambe le città, passò come capitano di ventura agli stipendii del signor di Verona. Un Castruccio degli Antelminelli, già soldato di lui, e ultimamente messo in prigione e condannato a morte da' suoi ministri, fu da' Lucchesi eletto a reggerli per un anno.

III.

Militando e trafficando aveva Castruccio passato la gioventù parte in Inghilterra presso un ricco parente, parte in Francia nella compagnia di Alberto Scotto. Essendo stato rimesso in Lucca insieme cogli altri fuorusciti ghibellini per opera d'Uguccione, fu de' più ardenti ad acquistargliela, e de' più forti a con

(1) G. Vill. IX. 74.

fermargliela nella battaglia di Montecatini. Lo avevano poi rinchiuso in carcere, per cagione di certi ladronecci e omicidii commessi in Lunigiana. Di quivi il popolo lo trasse fuori, per balzarlo con un Pagano de' Quartigiani al governo della patria. Savio parlatore, accorto maneggiatore delle persone, sapeva Castruccio unire in sè ottimamente le doti militari e le civili. Primo a ferire i nemici, ad ascendere le mura, a guadare i fiumi; facile coi soldati, ed amato in modo che la sua sola presenza bastò talora a rintegrare una zuffa o sopire un tumulto; col serbare viva la guerra condusse in capo a quattro anni i cittadini a darsegli in signoria ereditaria. Quindi ogni pericolo, ogni vittoria esteriore gli furono mezzo a rassodare dentro vieppiù la sua possanza. Trecento famiglie, già aderenti a Uguccione, scacciò in bando; gli Avogadri, i Fastinelli, i Cavenzoni di fazione contraria, perseguitò allo sterminio; i Quartigiani, già potenti suoi favoreggiatori ora incomodi amici, spense del tutto; e sempre col braccio de' mercenarii. Adeguò pure al piano delle case 300 torri private, impiegandone i materiali nella costruzione di una magnifica fortezza; ravvivò gli ordini della milizia nella città e nel contado; e preponendo guiderdoni, e primo d'ogni altro dandone l'esempio, la esercitò al tiro, alla corsa, alle simulate battaglie; infine di sorta seppe valersi de' sudditi e degli stipendiati, che gli acquisti di Prato, di Pistoia, di Pontremoli e della Lunigiana in pochi anni compiuti sembravano i primi presagi di ben più alta fortuna (1).

(1) Nic. Tegrimi, Vita Castruccii (R. I. S. t. XI.)—G. Vill. IX. 76.

Contro quest'uomo, che rinnovavale i terrori d'Uguccione, Firenze ordinò l'estremo di sua possa. Già essa aveva condotto ai proprii stipendii in due riprese 920 cavalli dal Friuli, 200 da Napoli, e 500 di nobilissimo sangue dalla Francia; già aveva fatto bandire il perdono a tutti gli esuli suoi, che accorressero al campo, e comandato in città un uomo per casa sotto pena della perdita del piede a chi mancasse (1). Da ultimo assoldò per capitano di guerra con 230 cavalli un Raimondo di Cardona catalano; armò dentro le mura 400 militi cittadini; riunì tutte le forze della lega guelfa; e recò il numero degli stipendiarii a 1500 cavalli.

Da lungo tempo non aveva la Toscana veduto veruno sforzo somigliante a questo, la cui spesa montava in tremila fiorini al dì. Ma la dappocaggine del Cardona, la viltà ovvero la perfidia del suo maresciallo, la pusillanimità de' cavalieri fiorentini, e la fortezza 23 7bre degli stipendiarii di Castruccio resero vana sotto Altopascio la coraggiosa ostinazione della fanteria. La opima suppellettile del campo sconfitto, e le spoglie del contado di Firenze depredato a talento dalle soldatesche vincitrici, le soddisfecero poi grassamente, non solo delle paghe solite, ma delle doppie che Castruccio

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(1) Marchionne di Coppo. L. VL Rub. 360.- È qui il caso in cui la crudeltà della pena indica la mala osservanza della legge. E già nel 1283 durante la guerra siciliana il re di Napoli aveva intimato pe'disertori la perdita d'un piede, del sinistro s'erano Cristiani di qualunque nazione, del piè destro, s'erano Saraceni di Lucera. V. Amari, Un periodo di St. Sicil. doc. 16. 19.

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