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DIVINA COMMEDIA

DI

DANTE ALIGHIERI

CON NOTE

DI PAOLO COSTA

EDIZIONE ESEGUITA SULL'ULTIMA FIORENTINA

DAL COMMENTATORE MEDESIMO RIVISTA ED EMENDATA

il carme

Che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco.

U. FOSCOLO, I Sepolcri.

MONZA

TIPOGRAFIA CORBETTA

MDCCCXXXVII

DI DANTE ALIGHIERI

SCRITTA DA PAOLO COSTA.

Sebbene

ebbene io sia certo di non avanzare nè per ingegno nè per arte quelli che scrissero la vita di Dante Alighieri, nulladimeno stimo di non far cosa al tutto vana se in poco raccoglierò quelle notizie che ne' costoro libri separate si trovano. Mi aprirò la via col narrare gli eventi nel corso de' quali si formò e crebbe quell'altissimo ingegno, affinchè sieno dinanzi alla mente di chi leggerà la Divina Commedia, ed affinchè si vegga che le umane lettere comechè prosperino talvolta sotto la protezione de' principi, pure trovano più facile alimento ed impulso, in quelle varietà e mutazioni di stato, in que' tempi, in quei governi, ove gli uomini sono condotti dalla quiete ed oscurità domestica nel tumulto de' negozj civili e nella pubblica luce, e dove, commossi da contrarj affetti o accesi nella carità della patria, mostrano al mondo le buone e le ree qualità loro e con ciò porgono agli scrittori ampia e grave materia di poemi e di storie. E per prendere le cose dall' origin loro, dico che le discordie fra la famiglia dei Buondelmonti e quella degli Uberti aveano tribulata molt'anni la città di Firenze, quando Federico II imperatore, volendo accrescere le forze sue contro il papa e le repubbliche italiane, diedesi a favorire gli Uberti e i loro seguaci; donde nacque che i Buondelmonti furono cacciati e che l'una delle due parti seguitò l'imperatore e l'altra il pontefice. Così Firenze, come gli altri paesi della misera Italia, fu in ghibellini ed in guelfi divisa. La qual divisione non solo di moltissimi tumulti, di moltissimi esilj e costernazione d' uomini e sanguinosi fatti fu cagione, ma che si cangiassero sovente le leggi e lo stato, secondo gli umori di quella parte che sovrastava. Era grande nel popolo fiorentino l'amore della libertà e della quiete, e forse i costumi suoi non erano sì corrotti da impedire la introduzione di civile reggimento: ma non era allora in Firenze e nel resto d'Italia

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bastevole intelligenza de' governi delle città; ondechè, mancando al buon desiderio i buoni ordini, il popolo fiorentino fu lungo tempo senza libertà e senza pace. Morto Federico, e succedutogli Manfredi suo figliuolo naturale, i Fiorentini, cui parve tempo di scuotere lo estranio giogo, chiamati i guelfi, ordinarono il viver libero; ma, dirizzando le leggi contro la potenza de' grandi, già favoriti da Federico, aprirono la via a nuove discordie, le quali furono cagione dell'esilio de' ghibellini, della guerra sanese, della rotta d'Arbia e finalmente del ritorno degli esuli. Nè dopo la morte di Manfredi ebbero fine i tumulti; perciocchè di nuovo furono cacciati coloro che la vittoria d' Arbia avea ricondotti in Firenze. D'indi a non molto richiamati e guelfi e ghibellini e creato un gonfaloniere di giustizia contro la potenza de' grandi, la città di Firenze sperò diposare; ma tosto fu costretta a sentire la riforma di Giano della Bella, il quale, deliberando che le famiglie le quali avessero avuto tra loro de' cavalieri non potessero prendere autorità ne'magistrati supremi, fomentò gli odj civili e preparò gli animi alla divisione de' Cerchi e de' Donati, la quale fu tosto inasprita dai neri e dai bianchi, che, stracchi dal perseguitarsi in Pistoja dov' ebbero l'origine, vennero a Firenze; e quivi i neri unitisi ai Donati, ed i bianchi ai Cerchi, fecero pubbliche le private loro discordie. Non essendo stati sufficienti a reprimere tanto male i prieghi e le cure del cardinal di Prato, inviato di papa Benedetto, non andò guari che le due parti vennero alle mani ed al sangue, e la città fu indi sì piena di sospetti e di tumulti che quelli di parte nera deliberarono di chiedere al papa uno di sangue reale che venisse a riformare lo stato. I priori, tra' quali era Dante, tennero questa deliberazione come una congiura contro il viver libero e confinarono alcuni de' capi dell' una e dell'altra parte. I bianchi indi a poco tempo tornarono; i neri sbauditi si volsero a papa Bonifacio, e tanto poterono appresso di lui colle false informazioni e colle maliziose parole che fu mandato Firenze Carlo di Valois de' reali di Francia, il quale era in Roma per passare contro Federico d'Aragona in Sicilia. Venuto costui a Firenze in qualità di paciere, poco stette a scoprire il suo maltalento; poichè, fattosi campione de' neri, volse l'animo ad innalzarli

a

ad

abbattere i bianchi e a trarre denari da tutti. Allora molti rei uomini colle malvage opere si fecero grandi, e molti buoni furono abbassati, travagliati e condannati nell' avere e nella persona, e i capi di parte bianca esiliati. Gli amici diventarono inimici; i fratelli abbandonarono i fratelli, i figliuoli i padri; ogni buon costume, ogni umanità fu sbandita. Questo fine ebbe la legazione di Carlo, la quale poi fu cagione che di tempo in tempo vie più inacerbissero le discordie civili. Ma qui basti l'aver discorsi per filo i casi avvenuti dalla divisione de' Buondelmonti e degli Uberti fino all'anno 1302, nel quale Dante bandito fu. In seguito occorrerà solo di toccare più particolarmente alcuna cosa. Ora dirò della prosapia, del nascimento, degli studj, degl' infortunj e delle opere sue.

Venne da Roma a Firenze a' tempi di Carlo magno un giovane della famiglia de' Frangipani chiamato Eliseo, e quivi posta sua dimora ed ammogliatosi, diede origine alla stirpe che poscia dal suo progenitore fu detta degli Elisei. Di questa nacque un uomo di grande ingegno e fortezza nominato Cacciaguida, che gloriosamente militò sotto l'imperator Currado; e tolta in moglie una leggiadra fanciulla degli Aldighieri da Ferrara, n' ebbe due figliuoli, uno de'quali, secondo il desiderio della donna sua, chiamò Aldighiero ; il qual nome, coll' andar degli anni, in quello d'Alighiero si convertì. Per le molte virtù del detto Alighiero i posteri chiamarono Alighieri gli Elisei come i loro maggiori aveano chiamato Elisei i Frangipani. Da costui direttamente venne, al tempo dell'imperator Federico II, quell' Alighiero che fu marito di madonna Bella e padre di Durante, il quale con fiorentino vezzo Dante si nominò. Nacque nella città di Firenze questa gloria nostra l'anno 1265 nel mese di maggio, sotto il pontificato di Clemente IV, poco dopo la morte del detto imperatore. Si racconta che madonna Bella, essendo gravida, fosse da un maraviglioso sogno fatta accorta di che nobile figliuolo dovea esser madre. I libri dell'antichità sono pieni di siffatte meraviglie, alle quali non dà facile credenza l'età presente. Venuto in luce il fanciullo, fu amorevolmente cresciuto da' suoi parenti e mostrò nella puerizia segni di mirabile ingegno; poi datosi ansiosamente allo studio delle prime lettere, trovò diletto in quegli esercizj ne' quali i fanciulli sogliono

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