LIBRO SESTO CAPITOLO LVIII. Il medio evo. - . Essi e noi. Ponete onete una gente, la quale consideri suprema felicità il riposo, e perciò affidi ogni cura ad un ente astratto che chiama il governo; che all' unità, alla costituzione, al poter centrale, ad altre formole vaghe, immoli la vera libertà, nel mentre a questa tributa un'idolatria, ricalcitrante ad ogni superiorità, fin a quella del merito; che professi principi assolutissimi, poi nell' applicazione li stringa in una mediocrità, rivelante il contrasto fra assiomi che si adorano e conseguenze che si ripudiano; e questa gente creda che, ad attuare le riforme, basti il decretarle'; chiami civiltà il sottomettere l'idea ai fatti positivi e materiali, e la misuri dalla quantità dello scrivere; e perchè essa scrive assai, abbia di sè una stima così profonda, quanto sogliono essere i sentimenti non ragionati, e un conseguente disprezzo per ciò che a lei non somiglia; e pensando che ciò che vede sia la natura delle cose, non s' immagini una società senza re, nè un re che non faccia tutto: qual gente meno di questa sarà capace d' intendere quel che chiamiamo il medio evo? Di sentimenti, di idee, di ordinamento politico e sociale tanto diverso, qual meraviglia se, nel secolo passato e dalla nazione legislatrice dell' eleganza e veneratrice della monarchia, fu giudicato con tanta, non dirò ingiustizia, ma leggerezza? Un villano onesto ma incolto, col vestire di cinquant'anni addietro, colla cortesia ingenua ed espansiva, col parlare cordialmente chiassoso, ma che ignori le mille importanze del cinguettio cittadino, non sfogli gazzette, sappia scrivere a malapena, moverà nausea alla squisita e frivola attillatura della buona compagnia, e la ruvida scorza impedirà di apprezzare e nè tampoco scorgere quell' onestà a tutta prova, quell' inalterabile fedeltà alla |